Ti ricordi…Aaron Wergifker, l’unico brasiliano che vestì la maglia dell’Argentina

  • Postato il 15 agosto 2025
  • Calcio
  • Di Il Fatto Quotidiano
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“Quando Diego te gambeteò e Cani te vacunò”. “Ciao Messi, Ciao” e addirittura un improbabile (per la verità nemmeno poi troppo) imitazione di Papa Francesco che canta “La Cumbia Papal” col ritornello che fa: “Brasilero Brasilero que amargado se te ve, Messi, Maradona y Pancho son mas grande que Pelé”, e così via, perché la rivalità tra argentini e brasiliani nel pallone è una cosa seria. Pensate all’ipotesi di un brasiliano che indossa la maglia della nazionale Argentina: fantascienza no? E invece dagli anni Trenta arriva una storia che supera sfottò, cori e meme, si incrocia con le rotte dei piroscafi: quella di Aaron Wergifker unico brasiliano a vestire la camiseta biancoceleste.

Brasiliano a tutti gli effetti, ma non di origine però: di famiglia ebrea, i suoi lasciarono la Russia per la terribile crisi economica che affliggeva il paese. Arrivarono quindi a San Paulo, dove nacque Aaron. Poi un nuovo trasferimento, visto che la vita paulista era tutt’altro che rosea. Dopo diversi giorni di viaggio la famiglia Wergifker arrivarono a Villa Crespo di Buenos Aires, un crogiolo di lingue, aromi e accenti. A unire tutto è il pallone. Aaron gioca per strada, sognando di farlo al più presto con la maglia del club del suo cuore: il Chacarita. Ma il destino ha altri piani per lui, difensore di piede destro, ma veloce e duttile tanto da essere capace di diventare un pericolo anche a sinistra. Ed è infatti su quella fascia che costruirà la sua carriera, non con i “Funebreros” del Chacarita, ma con i “Milionarios” del River Plate.

Quando a 16 anni debuttò con i “Millonarios”, il cognome impronunciabile mise in crisi i compagni: lo ribattezzarono subito “el señor Pérez” o, più affettuosamente, “Rusito Pérez”. Altri tempi, in cui non solo il nome poteva essere un optional. Wergifker, infatti, amava raccontare che la sua data di nascita ufficiale, il 6 gennaio 1914, l’aveva scelta lui: quando scoprì di non avere documenti validi, il consolato del “Paese d’origine paterna” gliene fece nuovi e lui optò per l’Epifania, festa che adorava da bambino. In realtà era nato il 3 aprile 1915. Nel 1936, al Sudamericano di Lima, un’ulteriore sorpresa: nei registri risultava “nato in Russia”, errore burocratico che alimentò la leggenda del giocatore dalle carte misteriose. Lui in ogni caso gioca, e contribuisce a scrivere la storia del River: nel 1932 vinse il primo scudetto professionistico di River, bissatonel 1936, ma anche nel 1937 e nel 1941. In mezzo due Copa Aldao strappate agli uruguayani. In nazionale collezionò cinque presenze, tutte in classici rioplatensi contro l’Uruguay, tra il 1934 e il 1936.

L’episodio che segnò la sua carriera arrivò a fine anni Trenta: un’intossicazione da acqua contaminata lo debilitò per settimane. Il River, temendo una lesione polmonare, gli comunicò che non avrebbe potuto continuare. “Ma nessuno mi fece mai un esame”, protestò. Ssecondo alcuni, e probabilmente anche secondo lo stesso Aaron, quella diagnosi fu “forzata” dal medico del club per mettere fuori un calciatore ebreo in anni particolari. Orgoglioso, lasciò i Millonarios e dimostrò di essere in perfetta salute giocando altre cinque stagioni con il Platense. Dopo il ritiro nel 1946, sparì dalle scene. Morì a Buenos Aires nel 1994, lasciando poche tracce se non nei ricordi di chi lo aveva visto giocare e nei libri di storia del fútbol. L’imitatore di Papa Francesco nella sua cumbia Papal aggiungeva “La misa no es con caipirinha, comulgamos con Fernet”. Ma il dogmatismo ha fatto il suo tempo, e anche allora evidentemente aveva delle falle.

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Il Fatto Quotidiano

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