Ti ricordi… Wilf Mannion, tutte le vite (e le guerre) del primo Golden boy nella storia del calcio
- Postato il 16 maggio 2025
- Calcio
- Di Il Fatto Quotidiano
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“Andiamo in guerra”: si usa spesso questa espressione quando si parla di calcio, in fondo la guerra nell‘Europa Occidentale è qualcosa di lontano, abbastanza da accostarla a una partita di calcio. Bisogna andare indietro, molto indietro nel tempo per trovare chi la guerra era costretto a farla per davvero, col campo di calcio che diventava un miraggio felice, altro che campo di battaglia. Wilf Mannion è una leggenda in Inghilterra ancora oggi, nonostante fosse nato esattamente 107 anni fa a South Bank, nel North Yorkshire. Piccolo, biondo: solo un metro e sessantacinque, ma potente, intelligente e aggraziato. Sembrava danzasse in campo “Giocava a calcio proprio come Fred Astaire danzava” disse di lui Brian Clough. Erano anni duri quelli del Primo Dopoguerra, che se hai 14 anni altro che ragazzino, sei un uomo fatto e finito e devi aiutare la famiglia: Wilf lascia la scuola ed entra in bottega per imparare il mestiere di saldatore, poi inizia a lavorare in un laminatoio.
Ovviamente dopo i turni in fabbrica quel piccoletto ha ancora l’energia per giocare a pallone, assieme ai colleghi nello Smith’s Dock’s Fc, e poi alla squadra cittadina, il South Bank St Peters. È forte, e allora dalle scartoffie per entrare a far parte delle squadre amatoriali si passa a quelle per le giovanili del Middlesbrough, nel 1936. È il fratello Tommy a vederci lungo: quel piccoletto e i suoi tocchi (e i suoi tacchi) sono sprecati tra portuali e operai siderurgici e allora lo propone alle grandi squadre. Lo vorrebbero Arsenal e Tottenham ma per 10 sterline firma per il Boro: intanto presta servizio come Vigile del Fuoco ausiliario, che è il 1936 e il mondo non promette nulla di buono. Nello stesso anno passa dalla squadra riserve ai titolari e il 2 gennaio del 1937 esordisce in campionato contro il Portsmouth. Comincia a giocare stabilmente solo l’anno dopo, guadagnandosi, probabilmente per primo, l’appellativo di “Golden Boy”. Nella stagione successiva è quasi sempre titolare, con 22 presenze e 4 gol, ma è nel campionato 1937-38 che Mannion esplode, con 14 gol in 38 partite, entrando in tantissime delle 93 reti segnate dal Middlesbrough, in particolare quelle di Fenton, suo compagno di reparto con cui affinerà un’intesa meravigliosa. Ma scoppia la Guerra, e Mannion si arruola nei Green Howards, il reggimento di fanteria dell’esercito inglese, spedito in Francia nel 1940 dove parteciperà alla battaglia di Dunkerque: i giornali dell’epoca scriveranno della sua morte, ma Wilf tornerà a casa sano e salvo. In patria i contratti dei calciatori sono annullati, ma di fatto i cartellini restano di proprietà dei club: Mannion giocherà alcune amichevoli col Tottenham e con il Bornemouth e anche alcune amichevoli con la nazionale inglese, assieme a Stanley Matthews.
Ma la patria reclamerà ancora il contributo di Wilf, spedito in Sud Africa, dove giocherà nel Peninsular of Johannesburg e poi parteciperà allo sbarco di Anzio, la sua compagnia subì un duro attacco, in cui Wilf vide morire metà dei compagni. Sarà inviato poi in Medio Oriente, dove, colpito da ittero e malaria, sarà definitivamente riformato. In patria ritornerà a giocare, segnando nella gara che vedrà il suo ritorno in campo ma entrando presto in rotta di collisione col Boro: “Non è giusto incatenare così i calciatori, con paghe spesso misere”. Guadagnerà anche la prima convocazione ufficiale con la nazionale, brillando nella gara contro l’Irlanda dove segnerà una tripletta. Chiederà di essere ceduto dal Middlesbrough, ma il presidente risponderà: “Ammesso anche che si presenti qualcuno con un assegno da 50mila sterline, perché mai dovremmo cedere il miglior calciatore d’Inghilterra?”. Ma malsopportato anche dai compagni e prigionieri del Boro a Wilf non resterà che allenarsi con il suo vecchio club, il South Bank: il miglior calciatore d’Inghilterra tra i dilettanti. Con lo stipendio bloccato al massimo legale (10 sterline) Wilf integrerà i suoi guadagni facendo il giornalista e scrivendo articoli per il Daily Express.
Dopo un estenuante tira e molla Wilf chinerà il capo, tornando a giocare per il Middlesbroug, e firmando la prima vittoria dopo mesi, che garantirà la salvezza al club.
Avrà in quegli anni turbolenti la soddisfazione di far parte della nazionale inglese ai Mondiali del ’50, segnando contro il Cile. Dopo un’ottima stagione con il Boro, ormai trentaseienne, annuncerà il ritiro dal calcio giocato, salvo ripensarci e firmare per l’Hull City. In quel periodo, come editorialista del Sunday People, si lanciò in una serie di accuse su tangenti e corruzione nel calcio, e chiamato in udienza per fornire prove di quelle accuse rifiutò e fu punito col divieto di essere tesserato, in qualsiasi veste, da club professionistici. In una situazione economica difficile, bandito dal calcio professionistico, prima provò a gestire un pub, poi lavorò come operaio e fattorino. Fu un documentario della Bbc, trasmesso nel 1978 a risvegliare l’interesse dei tifosi del Boro per Wilf: chiesero alla società di offrirgli un ruolo, ma la vecchia dirigenza rifiutò, per i veleni che avevano opposto Mannion al club. Solo nel 1983 gli venne dedicata una partita, contro l’Inghilterra di Bobby Robson. A Mannion è dedicata una statua all’esterno dello stadio Riverside e anche il campo del South Bank è dedicato a Wilf, con una scultura in ferro sul cancello: la maglia numero 10 e le scarpette del Golden Boy.
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