Ti ricordi… Pinga, il mancino brasiliano e quell’incidente in cui morì il fratello di Taddei: copriva le cicatrici con una bandana
- Postato il 19 dicembre 2025
- Fatto Football Club
- Di Il Fatto Quotidiano
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Tutto di destro: prima il dribbling sull’avversario, poi il tiro imparabile alle spalle di Sicignano. Un gol bellissimo, col piede sbagliato visto che l’autore, André Luciano da Silva detto Pinga, è tutto sinistro e che regala la prima vittoria in casa al Treviso a discapito del Lecce il 18 dicembre di 20 anni fa. Numeri importanti per quel ragazzo brasiliano, ex promessa ai tempi del Treviso, ultima stagione in Italia.
Nato ad Aracati, nella zona di Fortaleza: spiagge immense e paesaggi da cartolina, e poi ci sono i “meninos” che sognano altri scenari giocando a pallone sulla sabbia. Uno di quelli è Andrè: è forte ma piccolino, troppo, e per questo gli appioppano il soprannome di “Pingo”. “Pingo” vuol dire goccia e la persona che gli appiccica addosso quel soprannome vuol dire che il ragazzo è un “pingo de gente”, una goccia di persona, per quanto è basso.
Pinga diventerà dopo, a opera di un’agente: vorrebbe dire “goccetto” con un riferimento agli alcolici e in particolare alla cachaça, ma il calciatore ha sempre respinto ogni collegamento: “Avevo otto anni quando mi hanno chiamato così, non potevo certo bere del liquore”.
Le finte, quelle sì, sono ubriacanti: lo dimostra nel futsal, suo primo sport, ma viene notato dallo Sporting di Cearà che lo porta nelle sue giovanili. Passa al Vitoria e poi alla Juventus di San Paolo dove mostra già numeri da campioncino: attira su di sé le attenzioni di tanti club europei, anche grazie a Scolari che lo paragona a Rivaldo, e il Toro riesce ad accaparrarselo nel 1999 quando ha solo 18 anni.
Comincia dalla Primavera, accanto a lui c’è un altro ragazzo non male, pure lui tutto mancino, che si chiama Emanuele Calaiò, mentre la punta di riserva si chiama Fabio Quagliarella. Sulla panchina dei grandi c’è Emiliano Mondonico, uno che problemi a far giocare un ragazzino, se forte, non se n’è mai fatti: esordisce in Coppa Italia contro l’Atalanta, in Serie A un mese più tardi contro il Perugia.
La prima da titolare col Parma ad aprile, ma è nella gara successiva che André fa stropicciare gli occhi a tutti. Al “Delle Alpi” arriva il Milan campione d’Italia che va in vantaggio con Ambrosini, Pinga in tuffo però si prende di prepotenza un cross di Mendez e riporta il match in parità. Ma è quello che avviene nel secondo tempo che di fatto “regala” Pinga al popolo granata: Pecchia crossa dalla trequarti e trova Pinga però defilato e troppo vicino alla porta, il brasiliano la controlla e non si lascia tradire dalla tentazione di chiudere gli occhi e sparare forte ma tocca piano piano per una palombella deliziosa che porta in vantaggio i granata.
Pareggerà Guglielminpietro, ma Pinga – già una sorta di mascotte per il nome buffo e la giovane età – diventerà un mito, una speranza a cui aggrapparsi. Il Toro però retrocede e Pinga resta in granata, proprio per alimentare quella speranza di tornare subito a splendere in Serie A: ci riesce il Torino, un po’ meno il brasiliano che alterna ottime giocate a gare anonime, ma quanto di buono fatto gli vale la convocazione ai mondiali Under 20, dove brilla con la maglia verdeoro.
Ci sarebbero tutte le basi per fare bene, ma non trova spazio, e viene girato in prestito al Siena in Serie B. In Toscana splende: 4 gol il primo anno, 7 il secondo con il Siena promosso in Serie A. La festa però sarà amara: dopo la gara contro la Salernitana l’auto su cui viaggiano Pinga e Taddei si ribalta e si incendia, il fratello di Taddei muore, i due calciatori restano feriti.
Quell’incidente segna uno spartiacque. Il calcio, da promessa leggera come una goccia, improvvisamente pesa come piombo.
Pinga rientra al Torino portandosi addosso cicatrici che copre con una bandana: diventerà il suo marchio di fabbrica. Fa bene nella prima stagione dopo il ritorno, fa benissimo nella seconda, con otto gol nella regular season e un gol memorabile nei playoff contro l’Ascoli: vuole la A Pinga, finalmente. La conquista, ma non la vedrà in granata, perché la squadra non sarà ammessa per inadempienze finanziarie. Allora va a Treviso, ma la stagione non è positiva.
Torna in Brasile, all’Internacional, vincendo tutto e togliendosi quelle soddisfazioni che avrebbe voluto togliersi in Europa, prima di girovagare tra Qatar ed Emirati Arabi. Una luce intermittente, che a Torino ancora ricordano con simpatia: un dribbling fatto col piede sbagliato, una palombella pensata quando tutti avrebbero tirato forte. È stato, in fondo, quello che diceva il suo primo soprannome: una goccia di calciatore. Piccola, sì. Ma capace di lasciare il segno.
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