The book of love. Quattro ragazzi tornano dalla morte. La fine dell’amore a 17 anni
- Postato il 2 novembre 2024
- Di Il Foglio
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The book of love. Quattro ragazzi tornano dalla morte. La fine dell’amore a 17 anni
"L’amore è forte come la morte”: è scritto su una tomba nel cimitero di Lovesend, una città – che non esiste ma che potrebbe, in un sogno o forse desiderandolo – sulla costa del Massachusetts. Il senso del libro sta qui. The book of love (Mercurio, tradotto da Claudia Durastanti) inizia con un incubo e un gesto di rabbia: Susannah distrugge la chitarra della sorella Laura, scomparsa da quasi un anno. Forse morta. Non rimangono che schegge di legno affilate. Susannah si addormenta; sogna una porta che sbatte, qualcuno che bussa. Fuori dal sogno, la chitarra torna intera. Ma una scheggia le resta nel tallone: diventerà maledettamente importante, come ogni dettaglio in questo libro-mondo inarrestabile.
La scheggia non è l’unica cosa fuori posto, quella notte. Ce ne sono altre tre. Anzi quattro. Quattro persone tornate da una radura con un sentiero che non porta da nessuna parte. Tre ragazzi (anzi quattro) sono stati morti. Sono tornati. O meglio: qualcuno li ha fatti tornare. Laura Hand che vuole diventare una rockstar e non sopporta di essere morta prima di aver finito le superiori e baciato una ragazza. Mohammed Gorch che compone canzoni, ma solo per sé e ha paura di restare solo. Daniel Knowe gentile fino alla negazione di sé tanto che forse morire è la cosa più interessante gli sia capitata. Ma c’è anche qualcun altro, morto da così tanto da aver perso i ricordi. Sarà Bowie, un nome preso in prestito. Può trasformarsi in un mucchio di falene, essere una volpe, un ragazzo o una ragazza. Forse è stat* una strega.
Sono scalzi, non più abituati a sentirsi addosso il peso della carne. Come si fa a ricominciare a respirare, avere un cuore e costole e desideri – soprattutto un’insaziabile fame – dopo essere stati morti? Due di loro potranno restare, due dovranno tornare nel buio. The book of love è la storia di Mo, Laura e Daniel che impareranno a usare la magia senza esserne travolti. Di Bowie e dei suoi segreti. Di Thomas che è fatto di “ira, sete di sangue e disprezzo di sé”. Di una dea che indossa stivali viola e cambia la realtà in uno schiocco di dita. Ed è la storia di Lovesend, di chi la abita. Il mistero si svela come un innamoramento.
Kelly Link costruisce un libro che è un alveare: a tutti è concessa una voce. Capita di soffermarsi su un capitolo e incantarsi. Con una raccolta di racconti è stata finalista al Premio Pulitzer; il suo primo romanzo è una storia che ne contiene tante. La prosa è un pentagramma e la traduzione di Claudia Durastanti le fa onore. E’ un libro paziente e richiede la stessa dote a chi legge. Non teme di imboccare deviazioni, stravolgere aspettative. A volte Kelly Link pare tanto affascinata dalla meraviglia della costruzione da dimenticare che dovrebbero essere i suoi protagonisti a mandare avanti la trama: poco credibile sciogliere enigmi in monologhi casuali. La magia è poetica e mostruosa, ma priva di regole o costi. Nel mondo di Kelly Link puoi diventare una pulce, trasformarti in acqua, baciare una guancia colpita da un pugno per guarirla. Senza un sistema magico ben delineato, una storia poggia su fondamenta di sabbia. Link usa la magia come un bambino per gioco: una scelta narrativa rischiosa. A chi legge la decisione di accettare o meno la grana grossa di questa magia caotica come l’amore.
Salvare il mondo da una dea con la crudeltà sotto le unghie fa la stessa paura di accettare la vulnerabilità dell’essere amati. A 17 anni un bacio – il rimorso di averlo dato alla persona sbagliata, il rimpianto di non averlo dato a quella giusta – è una fine del mondo. Il dolore accade per poter dire a qualcun*, almeno una volta: «Io ti amo. Sono felice che tu lo sappia. Qualsiasi cosa sia l’amore.»
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