Terremoto all’ONU: si dimette in blocco la Commissione d’inchiesta su Israele e Palestina
- Postato il 16 luglio 2025
- Di Panorama
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In una mossa clamorosa che getta ulteriori ombre sull’efficacia e la credibilità delle istituzioni internazionali, tutti e tre i membri della Commissione d’inchiesta dell’ONU incaricata di indagare sulla situazione dei diritti umani nei Territori Palestinesi Occupati e in Israele hanno annunciato le proprie dimissioni. Navi Pillay, Chris Sidoti e Miloon Kothari – tre figure chiave nel meccanismo investigativo del Consiglio per i Diritti Umani – lasceranno ufficialmente l’incarico entro l’autunno 2025. Le loro dimissioni rappresentano un fatto senza precedenti nella storia delle commissioni permanenti delle Nazioni Unite. Il caso più eclatante riguarda proprio Miloon Kothari, che nel luglio 2022 ha rilasciato un’intervista in cui affermava: «Siamo molto turbati dall’influenza della lobby ebraica, o della lobby israeliana, così potente – è estremamente potente – e non solo nei social media, ma anche in organizzazioni non governative. C’è una sorta di controllo su molte narrazioni». Parole che hanno immediatamente fatto il giro del mondo, suscitando accuse di antisemitismo da parte di governi, organizzazioni e osservatori indipendenti. Stati Uniti, Canada, Germania, Regno Unito, Paesi Bassi e altri hanno formalmente chiesto le sue dimissioni, definendo le sue affermazioni «offensive», «pregiudizievoli» e degne dei peggiori stereotipi antiebraici del Novecento.
Invece di prendere le distanze, la presidente della Commissione, Navi Pillay, ha difeso Kothari, sostenendo che le sue parole sarebbero state «estrapolate dal contesto» e che «non intendeva essere antisemita». Tuttavia, la stessa Pillay è nota per posizioni fortemente critiche verso Israele, che ha definito «Stato di apartheid», e non ha mai nascosto il proprio orientamento ideologico. Le sue affermazioni alimentano il sospetto che la Commissione non sia un organismo imparziale ma uno strumento politico travestito da indagine sui diritti umani. A rincarare la dose è stato Chris Sidoti, terzo membro della Commissione, secondo cui le accuse di antisemitismo contro il gruppo sarebbero solo «strumentalizzazioni» utilizzate per silenziare le critiche a Israele. Un’affermazione che, invece di smorzare la tensione, ha gettato ulteriore benzina sul fuoco: secondo diversi esperti, equiparare ogni critica a Israele all’antisemitismo è sbagliato, ma negare che esistano derive antisemite reali dentro le istituzioni è altrettanto pericoloso. Le motivazioni ufficiali delle dimissioni parlano di ragioni personali: età avanzata, salute precaria, volontà di un “ricambio generazionale”. Ma la coincidenza temporale con le crescenti critiche sulla condotta della stessa commissione e con le recenti sanzioni statunitensi contro la relatrice speciale Francesca Albanese, solleva legittimi dubbi su un contesto ormai ingestibile dall’interno.
La verità è che l’intero impianto delle commissioni d’inchiesta ONU appare oggi come un organismo burocratico, autoreferenziale e incapace di affrontare con imparzialità e rigore dossier tanto delicati quanto esplosivi. La commissione presieduta da Navi Pillay è stata più volte accusata di parzialità, di approcci selettivi e di una retorica ideologica che ha finito per indebolire la legittimità stessa del suo operato. Lungi dal fornire chiarezza e giustizia, il lavoro della commissione si è spesso arenato in relazioni politicizzate, accuse unilaterali e un linguaggio che ha contribuito più alla polarizzazione che alla soluzione. Anche le modalità di nomina e i criteri di selezione dei membri delle commissioni restano opachi e controversi. Figure con esperienze legali o accademiche, ma prive di reale neutralità geopolitica, vengono incaricate di indagare su aree ad altissima tensione, spesso portando con sé posizioni già ben definite. Questo meccanismo ha progressivamente trasformato il Consiglio per i Diritti Umani in un’arena di scontro ideologico, incapace di parlare con una sola voce o di offrire soluzioni praticabili.
A rendere ancor più grottesca la situazione è il fatto che, nonostante l’annuncio delle dimissioni, la Commissione rimarrà formalmente attiva fino alla sostituzione dei suoi membri. Una paralisi istituzionale che sottolinea quanto poco reattiva sia l’ONU di fronte a crisi interne. Il Consiglio ha aperto le candidature per i nuovi commissari con scadenza al 31 agosto, ma non è chiaro se verrà trovato un equilibrio che soddisfi le diverse sensibilità geopolitiche in gioco. Il fallimento di questa Commissione – non il primo e forse non l’ultimo – riporta sotto i riflettori la crisi più ampia che investe l’intero sistema delle Nazioni Unite: un organismo nato con nobili intenti, ma oggi percepito da molti come inefficiente, politicizzato e scollegato dalla realtà. Dalle guerre ignorate alle risoluzioni inapplicate, dalle commissioni in stallo ai rapporti privi di conseguenze concrete, l’ONU sembra incapace di rispondere con efficacia alle grandi sfide del nostro tempo. Nel caso specifico di Israele e Palestina, invece di contribuire a una soluzione giusta e condivisa, l’ONU ha spesso finito per alimentare sfiducia e sospetti da entrambe le parti, dimostrando una pericolosa incapacità di agire come mediatore imparziale. Le dimissioni in blocco della Commissione ne sono l’ennesima conferma.