Terre rare, l’accordo con l’Ucraina è l’ultima mossa Usa nella “tecno-guerra” con la Cina. Mosca pronta alla spartizione, a rimetterci è l’Ue
- Postato il 27 febbraio 2025
- Mondo
- Di Il Fatto Quotidiano
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Le “garanzie di sicurezza” chieste da Kiev per ora nel testo non ci sono, ma la firma dell’accordo sulle risorse minerarie sembra vicina. Era stato Volodymyr Zelensky a mettere la questione sul tavolo di Donald Trump a settembre, quando era volato negli Usa per illustrargli il cosiddetto “piano per la vittoria”. L’idea era quella di fornirgli una ragione per cui, eletto presidente, avrebbe dovuto continuare a sostenere militarmente ed economicamente l’Ucraina. Il tycoon l’ha presa al volo e, arrivato alla Casa Bianca, ha chiesto all’Ucraina “l’equivalente di 500 miliardi di dollari di terre rare“. Riguardo a queste ultime l’Occidente dipende dalla Cina, principale produttore mondiale, e lo sfruttamento dei giacimenti di Kiev potrebbe aiutare Washington a limitare la dipendenza da Pechino.
Kiev possiede notevoli riserve di minerali, non ha mezzi economici né tecnologie per sfruttarle ed è alla ricerca di investitori da ben prima della guerra. “L’Ucraina propone una vasta gamma di investimenti: 100 progetti riguardanti principalmente dieci materie prime critiche potrebbero essere sviluppati per colmare l’attuale gap minerario dell’Europa“, reclamizzano i prospetti fatti circolare presso le cancellerie occidentali. Nel luglio 2021 il governo ha firmato con Bruxelles un “Memorandum di partenariato strategico” sulle materie prime e nel novembre 2022 è stato rappresentato per la prima volta alla Raw Materials Week, il più grande evento dedicato al tema dall’Ue, dove ha tenuto un forum sulle opportunità di business sul suo territorio. Nella comunicazione che ne ha fatto, Trump ha ridotto la questione all’espressione “terre rare” – 17 metalli vitali per la produzione industriale ad altissima tecnologia – quando invece sul tavolo ci sono le risorse minerarie ucraine nel loro complesso.
Secondo Kiev, “l’Ucraina possiede 22 dei 50 materiali strategici identificati dagli Stati Uniti come critici e 25 dei 34 riconosciuti dall’Ue come di fondamentale importanza”. “Critical Raw Materials” come grafite, titanio e litio sono presenti il tutto il paese, mentre le terre rare sarebbero disponibili in 6 giacimenti. Grandi speranze sono riposte su Novopoltavske, nella regione di Zaporizhzhia, “uno dei più grandi depositi di fosfato e terre rare a livello globale” che necessiterebbe di “investimenti per 300 milioni”. Terre rare sarebbero presenti anche a Perzhanske, nel nord, che ha anche “riserve di 15,3 mila tonnellate di ossido di berillio e tantalio, niobio, zirconio, stagno, molibdeno, litio e zinco”, e a Sabarivske e Rizhkivskyi, nelle aree centrali del paese: “Lo sviluppo di depositi di apatite e terre rare consentirà di produrre 100 milioni di tonnellate di fertilizzanti fosfatici e materiali per prodotti elettronici ad alta tecnologia”.
Queste le cifre fornite da Kiev. Ma sul tema non esistono certezze. Alcune proiezioni del governo ucraino si basano su “attività di esplorazione che hanno avuto luogo in gran parte tra gli anni ’60 e ’80, quando lo stato sovietico stava attivamente mappando l’area”, ha affermato nei giorni scorsi Standard and Poor’s. Il che comporta che ad avere un quadro più chiaro della situazione possa essere Mosca. “Non esiste una valutazione recente” delle riserve, sostiene Roman Opimakh, ex direttore generale della Ukrainian Geological Survey, l’agenzia governativa responsabile dello sviluppo minerario, “e c’è ancora una restrizione nel rendere pubbliche queste informazioni”.
Molti sono anche i dubbi riguardo alla produttività degli investimenti. L’Ucraina ha grandi riserve di litio, in gran parte non sfruttate. Kiev “prevede una carenza di offerta globale a causa della massiccia crescita della domanda nel prossimo decennio e l’Ucraina detiene l’1% delle riserve globali”. Ma i prezzi sono crollati dell’88% dal 2022 e nel 2023 l’Agenzia Internazionale per l’Energia ha riferito che il minerale viene ormai estratto in quantità sufficienti in tutto il mondo per soddisfare la domanda globale. Neanche per gli Stati Uniti sarebbe una questione cruciale: diversi osservatori specializzati ritengono che la “McDermitt Caldera” in Nevada possa diventare il più grande deposito del pianeta con 40 milioni di tonnellate metriche, sufficienti da sole a consentire a Washington di scavalcare Pechino.
Nonostante i dubbi, Trump ha messo le terre rare in cima alla sua agenda europea. Il mondo ultra-conservatore che lo ha portato per la seconda volta alla Casa Bianca glielo aveva chiesto prima ancora che ci arrivasse. Tra i temi chiave che il Project 25 ha posto al nuovo presidente c’è il “Contrasto alla sfida posta dallo sviluppo della Cina”, che di terre rare ha i più grandi giacimenti ed è il primo produttore al mondo. “In Africa la Cina ha concesso prestiti per 160 miliardi di dollari e domina il settore minerario delle terre rare del continente” e “utilizza strategicamente le restrizioni protezionistiche all’esportazione, tra cui quote e dazi“. Tutto vero: il 21 dicembre 2023 Pechino ha posto il settore sotto il diretto controllo dello Stato e annunciato il divieto di esportazione di alcune tecnologie per la loro estrazione e lavorazione. E giusto il 3 febbraio scorso, in risposta agli ultimi dazi imposti da Trump, ha annunciato una stretta all’export “di tungsteno, tellurio, bismuto, molibdeno e indio”.
“Le industrie americane che sono state colpite dalle restrizioni all’esportazione della Cina comunista – specifica il programma di governo stilato dalla Heritage Foundation e finora seguito alla lettera da Trump – vanno dall’acciaio, dai prodotti chimici e dalle auto elettriche alle turbine eoliche, ai laser, ai semiconduttori e ai refrigeranti”. Tra le misure anti-cinesi raccomandate, quindi, c’è anche quella di “ridurre sistematicamente ed eventualmente eliminare ogni dipendenza degli Usa dalle catene di approvvigionamento della Cina Comunista che possono essere usate per minacciare la sicurezza nazionale, come farmaci, chip di silicio, minerali delle terre rare, schede madri per computer, display a schermo piatto e componenti militari”. Ovvero molti settori nei quali il fido alleato Elon Musk ha interessi miliardari.
In questo nuovo contesto geopolitico in cui Pechino è diventata il nuovo nemico numero uno, la distensione dei rapporti con la Russia potrebbe giocare un ruolo. Secondo diversi think tank ucraini, fino al 40% delle risorse minerarie del paese sono in aree sotto occupazione. Ad esempio due dei quattro principali giacimenti di litio del paese, quelli di Kruta Balka e di Shevchenkivske, si trovano nell’oblast di Donetsk. Vladimir Putin ha proposto all’amministrazione Trump lo sfruttamento congiunto di questi minerali e il nuovo assetto mondiale che pare emergere lascia pensare che l’ipotesi di una collaborazione non sia poi così peregrina. In attesa di capire cosa c’è nell’accordo tra Usa e Ucraina ad avere il ruolo del vaso di coccio sarebbe ancora una volta l’Europa, che nel luglio 2021 aveva firmato con Kiev il memorandum per l’utilizzo dei suoi giacimenti.
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