Terranova: essere l'amante del Duce senza avere sensi di colpa

  • Postato il 13 gennaio 2025
  • Di Libero Quotidiano
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Terranova: essere l'amante del Duce senza avere sensi di colpa

Ormai è acclarato: sulla fiction che ci propina il Mussolini-Marinelli macchiettistico bisogna esprimersi. C'è il dovere etico di essere “pro” (che vale per gli antifascisti ortodossi) e il dovere etico di essere contro (che vale per chi ha letto De Felice, almeno qualche pagina ...).

E poi c'è un altro dilemma etico: l'attore può soffrire interpretando un personaggio storico “cattivo” o ritenuto tale? La risposta di Luca Marinelli la sappiamo perché ha esternato la sua “devastante” sofferenza a testate unificate. Invece Barbara Chichiarelli, l'attrice che nella serie veste i panni di Margherita Sarfatti non ha vissuto sussulti di coscienza. Sicché a Massimo Gramellini, che su La7 la intervista nel programma “In altre parole”, confessa che lei a essere l'amante del Duce non si è sentita devastata. «Sinceramente no». Così, secca e liquidatoria rispetto ai drammi interiori del collega Marinelli che con lei frequentava il Mamiani e – sottolinea l'attrice – «eravamo due cretini».

Dunque si può recitare senza sensi di colpa. Come Liz Taylor che interpreta Cleopatra, Laurence Olivier che veste i panni di Enrico VIII, Bruno Ganz che interpreta Adolf Hitler, Peter Ustinov che si cala nell'animo di Nerone per non dire di Christopher Lee che presta il volto a Dracula... Ma la questione è tutt'altro che liquidata. La serie ha bisogno dei suoi supporter, al di là e oltre le angosce esistenziali degli attori. E così oggi è scesa nell'agone esegetico Concita De Gregorio per magnificare la serie Sky sul fascismo che attenzione - ci spiega quanto siano paraculi e immorali quelli che si sanno vendere, quelli che si fanno duci e ducette e che insomma hanno capito la lezione di un Gustave Le Bon con la sua “psicologia delle folle”.

Gli influencer, insomma, e Berlusconi e Trump e pure Giorgia Meloni (figuriamoci se non la nominava...). Guardatevi la serie – esorta Concita De Gregorio– guardatela e assaporatela come in un esercizio catartico per comprendere quanto siamo contaminati dall'Ur-fascismo alla Umberto Eco. Ovvio che lei sta un gradino più su, e ci tiene a far sapere di far parte di una minoranza etica «confinata in una sempre più marginale terra dei giusti, tuttavia infelici».

E immaginiamo che le prime puntate di “M” l'abbiano un po' consolata, tracciando il confine artistico tra i consapevoli (lei coi “giusti infelici” sul cucuzzolo del monte) e l'umanità volgare che si lascia andare all'incanto del più forte. Peccato, dice ancora, che Giorgia Meloni non abbia trovato il tempo per vedersi la serie (e speriamo che non diventi questo un altro tormentone come il busto del Duce in casa La Russa che non è stato gettato nel cassonetto ma consegnato alla sorella e comunque non va ancora bene a chi ci ammonisce: “Sono ancora tra noi, nel mondo, mica solo in Italia”). Ora: se Meloni l'avesse vista l'avrebbe trovata, come molti, stucchevole e inutilmente trash. E invece Concita ci spiega che sottomettendosi alla pedagogica visione avrebbe potuto magari migliorarsi come nel finale palingenetico di “Arancia meccanica”. Il cattivone che guarda la cattiveria sullo schermo per emendarsi, ripulirsi, migliorarsi.

E infine c'è lo sguardo pietoso e complice di Concita su Margherita Sarfatti: «Una di noi prima di imparare ad affrancarsi». E così abbiamo messo nel mixer antifascista anche un po' di Virginia Woolf per la quale la lotta perla liberazione delle donne era una lotta contro il fascismo. E poi c'è Cristina Battocletti sull'inserto domenicale del Sole 24 Ore che tributa applausi alla magnifica sceneggiatura, alla sapiente telecamera, alla recitazione di tutti e in particolare alla prova magnifica di Marinelli. Perché ci fa vedere il Duce come un instagrammer, come un tik-toker, uno che sa usare i social («come Salvini») uno che come le bestie «sente il tempo che viene».

E così si chiude il cerchio interpretativo: M, il figlio del secolo piace alla gente cui non piacciono Meloni, Salvini, Trump e compagnia. Ed è fatto per loro, per le loro ubbie, per i loro risentimenti, per la loro pretenziosa altezzosità. Se lo vedessero loro, dunque, loro del circoletto dei giusti.

Quanto agli attori devastati, Marinelli non è certo il primo, lo sappiamo, a vestire i panni di Mussolini. Lo fece Rod Steiger nel 1974 nel film “Mussolini ultimo atto” di Carlo Lizzani. Il giornalista e regista Maurizio Liverani lo intervistò e scrisse che Rod Steiger gli aveva confidato di avere studiato a lungo la figura di Benito Mussolini: «Se l'Italia volesse tornare al culto dei suoi eroi», spiegò, «dovrebbe mettere tra i suoi spiriti inquieti proprio Mussolini». La differenza? Rod Steiger aveva letto “In piedi e seduti” di Leo Longanesi, Marinelli ha letto Scurati (e ne è talmente entusiasta da avventurarsi nel dire che solo lui è riuscito a farci conoscere Mussolini «così nel profondo») e Ranuccio Bianchi Bandinelli, l'archeologo che accompagnò Hitler durante la visita in Italia nel 1938. Giudicate voi se è abbastanza.

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Libero Quotidiano

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