Tassa europea per le imprese: una nuova idea sbagliata
- Postato il 28 luglio 2025
- Di Panorama
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La Commissione europea ha presentato la nuova proposta di bilancio finanziario per il settennato 2028-2034.
Come ormai accade per quasi tutte le questioni europee, il processo sarà lungo e complesso. È quindi necessario partire con largo anticipo. Chissà se tra due anni e mezzo, quando il bilancio dovrà entrare in vigore, il mondo e le sue priorità saranno ancora quelle di oggi.
Di certo, il documento delinea la visione dell’Europa futura immaginata dalla Commissione: un’Europa più grande, con un bilancio che sale a 2 trilioni di euro per il periodo, rispetto agli attuali 1,3.
Il problema, a dire il vero, non è tanto la dimensione. Nonostante l’aumento significativo — soprattutto se confrontato con le ristrettezze che l’Europa impone a molti Stati membri — il bilancio “federale” europeo resta modesto: meno del 2% dell’economia del continente.
Se vogliamo un’Europa che funzioni davvero, che generi più sinergie ed efficienza, probabilmente dovrebbe disporre di un bilancio effettivamente più ampio. Tuttavia, questa maggiore dimensione dovrebbe derivare da nuove e più estese funzioni comuni tra gli Stati membri, organizzate secondo un principio di sussidiarietà che semplifichi e sostituisca la burocrazia esistente, anziché aggiungerne di nuova e renderla più complessa.
È proprio qui che risiede il nodo problematico della proposta: non nella dimensione dell’Europa, ma in ciò che si intende fare — o meglio, in ciò che si vuole continuare a fare.
Purtroppo, la linea d’azione della Commissione europea resta ancora permeata da quella spiacevole idea di fondo che l’ha segnata negli ultimi anni: l’idea che i cittadini europei, se lasciati liberi di decidere e di intraprendere, non siano in grado di fare le scelte giuste e che pertanto debbano essere guidati con leggi invasive e minuziosamente dettagliate verso il futuro “radioso” che invece è immaginato dalla Commissione.
Un futuro che, in diversi casi, ha condotto — e sta conducendo — l’Europa in una secca: si pensi all’energia, all’industria automobilistica, alla chimica o, più in generale, alla deindustrializzazione causata da un eccesso di norme nel nostro continente. Un futuro spesso disegnato senza ascoltare — o ascoltando troppo poco — le opinioni, le preoccupazioni e le raccomandazioni espresse non da fanatici anti-europeisti, ma da settori della società sinceramente interessati al buon funzionamento del progetto europeo.
Si consideri, ad esempio, il pacchetto di nuove tasse che l’Europa propone di introdurre: un’accisa sul tabacco (la cosiddetta TEDOR), un prelievo sui rifiuti elettronici non raccolti (E-levy), un’imposta sull’anidride carbonica emessa in Europa — attraverso i permessi ETS — e fuori dall’Europa — tramite il meccanismo CBAM —, nonché, infine, una nuova tassa sulle imprese, denominata CORE.
Poiché le tasse hanno l’effetto indesiderato di disincentivare le attività su cui si applicano, la teoria economica suggerisce di colpire prioritariamente ciò che si desidera ridurre. E infatti, nella lista troviamo il tabacco, i rifiuti non riciclati e le emissioni inquinanti.
Stupisce però — o forse non dovrebbe, visti i precedenti — che in questa lista nera sia stata inserita anche l’industria europea. Proprio in un momento in cui molti stanno segnalando, in modo sempre più allarmato, la progressiva e profonda deindustrializzazione del nostro continente.
I proventi delle nuove imposte, afferma la Commissione, saranno utilizzati per finanziare i grandi e ambiziosi programmi di sostegno all’industria e all’innovazione: transizione verde, digitale, biotecnologie, difesa, spazio, start-up.
L’innovazione, però, raramente nasce quando è un gruppo di funzionari, per quanto intelligenti e benintenzionati, che stabilisce da un ufficio cosa debbano fare scienziati e imprenditori. Nasce piuttosto quando questi ultimi sono lasciati liberi di esplorare e investire nei settori e nelle tecnologie che essi stessi — e non le istituzioni — ritengono più promettenti per rispondere ai bisogni emergenti della collettività.
Non è tassando e spendendo che si stimola l’innovazione. Non ci resta che sperare che queste risorse non facciano la fine dei rilevanti fondi investiti nella filiera dell’idrogeno, tecnologia che — proprio recentemente — le principali case automobilistiche europee hanno deciso di abbandonare.
Se l’Europa vuole tassare le imprese, dovrebbe avere il coraggio di proporre l’introduzione di una vera tassa “federale” sulle aziende, che si sostituisca a quelle nazionali e sia uguale per tutti. In questo modo si eliminerebbero le competizioni fiscali interne e si rafforzerebbe il mercato unico, che tanto bene ha fatto — e potrebbe ancora fare — a tutti noi.
Questo coraggio, purtroppo, non c’è stato. In definitiva, se l’Europa intendeva offrire un’ulteriore prova del proprio atteggiamento anti-industriale, difficilmente avrebbe potuto fare di meglio.