Svezia, ridusse in schiavitù bambini e donne yazide: affiliata all’Isis condannata a 12 anni di carcere

  • Postato il 11 novembre 2025
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Sei bambini e tre donne tenuti come schiavi, in nome del fanatismo religioso e di una idea: quella di uno Stato Islamico, costruito tra Siria e Iraq. Lina Ishaq, svedese di Halmstad, oggi ha 53 anni: nel 2013 non era una ragazzina affascinata dai proclami del capo dell’Isis, al Baghadi, ma una adulta che aveva seguito in modo cosciente il marito, portandosi dietro un figlio adolescente di 12 e un bambino di 2 anni. Una “madre di famiglia”, si potrebbe dire, che non ha esitato a schiavizzare bambini e donne yazide, ritenute inferiori. Per questo la Corte d’appello ha confermato per Ishaq la condanna a 12 anni di carcere ritenendola responsabile di crimini contro l’umanità, crimini di guerra e genocidio. Si tratta della prima cittadina svedese ad essere condannata per questi reati: furono circa 300 i musulmani che lasciarono la Svezia per andare in Siria e unirsi a Daesh.

Il processo riporta a dieci anni fa, quando l’estremismo islamico aveva fatto terra bruciata tra Siria e Iraq. Ishaq è cittadina svedese, ma come è avvenuto per numerosi musulmani europei, non ha esitato a partire con il marito e i figli per Raqqa, la città siriana che era il centro di comando degli islamisti, assieme a Mosul in Iraq. Nel 2015, secondo quanto verificato dalle inchieste, Ishaq aveva tenuto come schiavi sei bambini e tre donne yazide, la minoranza religiosa che gli affiliati a Daesh ritenevano “adoratori del diavolo”: in quanto tali potevano essere sterminati o ridotti alla catena. In tre anni, sono stati massacrati 5.000 yazidi, e mezzo milione sono sfollati. L’Onu ha calcolato che almeno 6.000 tra donne e bambini sono stati catturati e tenuti come schiavi.

La Corte d’appello è giunta alla conclusione che la svedese “condivideva l’obiettivo dell’Isis di annientare almeno parzialmente il popolo yazida, pur non avendo partecipato direttamente agli atti di violenza dello Stato islamico contro gli yazidi”. Insomma, Ishaq non imbracciò un fucile per sparare agli “eretici” ma, li costrinse a “svolgere lavori domestici, partecipare all’istruzione religiosa e pregare nel contesto del sistema di schiavitù introdotto da Daesh”, dopo che il gruppo era stato catturato nell’agosto 2014 a Sinjar, nel nord dell’Iraq. Genitori, fratelli, mariti, furono uccisi; donne e bambini schiavizzati. In seguito Ishaq li vendette ad altri affiliati. Su nove persone, otto furono liberati – uno dovette attendere sette anni – e una donna non è mai stata più ritrovata.

Quando le cose per l’Isis si misero male, Ishaq nel 2017 scappò in Turchia. Ma fu individuata, e nel 2020 fu estradata in Svezia; era da sola, il marito e il figlio, che aveva compiuto 16 anni, erano morti per imporre la Sharia con la violenza; proprio per la morte del minorenne, nel 2022, la donna era stata condannata a sei anni di carcere. Nel 2024 la nuova incriminazione per le atrocità sugli yazidi. Il procuratore aveva chiesto per Ishaq l’ergastolo, ma, come scrive la Corte d’Appello nella sentenza, il carcere a vita è previsto solo per coloro che nell’Isis avevano avuto ruoli di comando o avevano partecipato in prima persona ai massacri. Il processo è stato molto seguito: in Svezia risiedono circa 6.000 yazidi, e la ferita che ha inflitto loro l’estremismo islamico è ancora aperta.

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