“Supporto consapevole alla missione dei terroristi neri”: perché Cavallini è stato condannato per la strage di Bologna

  • Postato il 14 aprile 2025
  • Giustizia
  • Di Il Fatto Quotidiano
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C’è “un legame indissolubile” tra Valerio Fioravanti, Francesca Mambro, Luigi Ciavardini e Gilberto Cavallini “su quanto avvenuto la mattina del 2 agosto 1980”. È questo filo nero, già individuato dai giudici di primo e secondo grado, che viene certificato nelle 41 pagine con cui la Cassazione ha motivato l’ergastolo per il quarto autore della strage di Bologna. La Suprema corte conferma che ci fu “piena condivisione del programma delittuoso” da parte di Cavallini. La corte presieduta dal giudice Stefano Mongini sottolinea che il processo “si è celebrato a distanza di più di quaranta anni dal tragico fatto delittuoso che ha scosso, nel profondo, la coscienza collettiva del nostro Paese”. Nonostante tutto, però, i due gradi di giudizio precedenti e le sentenze non sono “un mero esercizio storicistico più che giuridico, con sostanziale inutilità di un processo penale”, e neanche possono essere considerati “un affresco storico”. Al contrario, si legge nelle motivazioni scritte dal consigliere estensore Raffaello Magi, sono atti capaci “di cogliere, al di là di ogni ragionevole dubbio, aspetti di verità sulla contestazione di concorso nel reato. “La verità processuale– in rapporto alla commissione di reati di enorme gravità e che non tollerano prescrizione – è uno dei compiti essenziali di uno Stato di Diritto ed è quello che la Magistratura è tenuta ad offrire al popolo italiano, nel cui nome amministra giustizia”. E i processi – con la mastodontica motivazione di primo grado – hanno dimostrato che “quella di Bologna fu una strage di Stato. Nar compromessi coi servizi segreti”. Cavallini – accusato di concorso – era “consapevole” della “missione stragista” del gruppo terrorista. La Cassazione ricorda che, per sua funzione, non entra nel merito ma valuta la legittimità e che non sono vizi logici nei verdetti.

Le prove contro Cavallini – Gli ermellini considerano cruciale l’individuazione del “consapevole supporto logistico” fornito da Cavallini a Fioravanti e Mambro. Non solo con l’ospitalità offerta in un luogo da cui era agevolmente raggiungibile Bologna (“un fatto significativo data la latitanza di Fioravanti e Ciavardini all’epoca”), ma per aver fornito la patente Caggiula (il documento intestato a Flavio Caggiula ndr) a Fioravanti (poiché il suo documento era ‘bruciato‘)”. A disposizione dei tre, Cavallini mise anche un mezzo di trasporto: un’auto da Villorba di Treviso a Bologna e ritorno. Un sostegno totale, offerto nella piena consapevolezza della “missione” che dovevano portare a termine i tre. Anche se in questo quadro deve essere inserito Paolo Bellini, l’ex terrorista di Avanguardia nazionale, già condannato in Appello all’ergastolo per la strage, in attesa che proprio la Cassazione fissi l’udienza sul suo caso. La sua difesa ha provato a sostenere che ci fosse una incompatibilità tra i due processi, ma la Suprema corte ha bocciato il ricorso sul punto.

Il falso alibi – Un altro elemento contro Cavallini è il falso alibi collettivo fornito da Fioravanti, Mambro, Ciavardini – oltre a lo stesso imputato – che dichiararono di aver trascorso la mattina del 2 agosto 1980 in gita a Padova. La “presenza accertata di Fioravanti e Mambro a Bologna quella mattina rese tale versione non solo contraddittoria ma falsa, con importanti conseguenze valutative” perché la dimostrazione del falso alibi è diventata una prova a carico degli stragisti. “La scelta di fornire un alibi falso, avallato pienamente da Cavallini, fu interpretata come un elemento indicativo della sua piena condivisione del programma delittuoso specifico, fornendo maggiore sicurezza per la realizzazione del delitto”.

La testimonianza: “Hai visto che botto” – C’è ovviamente la testimonianza di Massimo Sparti, un criminale comune vicino alla Banda della Magliana, a cui Fiorvanti si rivolse subito dopo lo scoppio della bomba, quando cercava affannosamente documenti falsi per Mambro, accompagnando la pressante richiesta anche con minacce nei confronti del figlio dell’uomo. Era il 4 agosto 1980 e a Roma a Sparti venne chiesto di fornire un documento contraffatto. Il timore era che la donna fosse stata vista e riconosciuta. “Mi parlò di questa in termini elogiativi dicendo che aveva trovato la donna della sua vita …”, ha raccontato l’uomo, riferendo le parole di Fioravanti su Mambro. Poi la frase passata alla storia: “Hai visto che botto”. “Aggiunse che a Bologna si era vestito in modo da sembrare un turista tedesco, mentre la Mambro poteva esser stata notata per cui aveva bisogno urgentissimo di documenti falsi e le aveva anche fatto tingere i capelli. Pretendeva che in giornata gli facessi avere una patente ed una carta d’identità di cui mi fornì le generalità… Feci presente l’impossibilità di procurare documenti in giornata e – prosegue il racconto del testimone – Valerio si infuriò dicendomi che dovevo spezzarmi ma darglieli in fretta. In questa occasione io, spaventato dalla enormità della cosa, lo pregai di non parlarmi neppure di queste cose, lui replicò che io dovevo comunque stare zitto in quanto se a lui fosse successo qualcosa ci sarebbe stato qualcuno che me l’avrebbe fatta pagare e aggiunse precisamente ‘te lo faccio piangere io Stefanino tuo’, alludendo a mio figlio”.

Gli altri indizi e la P2 – Tra le altre prove vengono citate la “premonizione” di Vettore Presilio circa il coinvolgimento del gruppo estremista veneto nel progetto stragista. Presilio era detenuto del carcere di Padova il 10 luglio del 1980, in presenza del suo avvocato di fiducia, quando riferì al giudice di Sorveglianza che era imminente un gravissimo attentato. Lo stesso gruppo gli aveva proposto di partecipare a un successivo attacco contro il giudice di Treviso Giancarlo Stiz, a suo tempo impegnato in indagini connesse a quelle su piazza Fontana. La fonte di Vettore era il neofascista Roberto Rinani, inserito nella cellula eversiva di Massimiliano Fachini. C’è poi la telefonata del Ciavardini, allora 17enne, che chiama per avvertire la fidanzata e un gruppo di amici in partenza da Roma per Venezia il 1 agosto: l’imputato li invita a rimandare assolutamente il viaggio. Infine c’è l’omicidio di Francesco Mangiameli, esponente di Terza Posizione, che poteva rivelare quello che sapeva. Anche se per la procura generale di Bologna l’omicidio avvenne perché si dissociò dal progetto. La Suprema corte ricorda come gli elementi che “storicizzano” il rapporto tra Cavallini ed esponenti della loggia P2 o dei Servizi deviati sono stati considerati come verifica di compatibilità con appunto la consapevolezza del supporto logistico.

“Piena condivisione del programma delittuoso” – I giudici, dunque, sottolineano che tutti gli “aspetti ampiamente esaminati, senza vizi logici nelle decisioni di merito, hanno una obiettiva e convergente portata indiziante nei confronti di Fioravanti e Mambro, portata da cui deriva come si è detto la falsità dell’alibi collettivo. Ed allora va ricordato che la prospettazione di un alibi rappresenta la volontà dell’imputato di abbandonare il privilegio del silenzio (nemo tenetur se detegere) e contribuire – in ipotesi – alla dialettica di ricostruzione del fatto”. Secondo la corte si tratta “di precisa scelta di condotta processuale che, come tutte le scelte tese ad introdurre elementi di asseverazione, si espone alla confutazione ed allo sfavorevole apprezzamento delle sue conseguenze. Se infatti attraverso la prova d’alibi si sceglie di confrontarsi con il fatto di reato allontanandosi fisicamente – dal luogo di consumazione del medesimo (condotta tenuta da Fioravanti, Mambro e Ciavardini e avallata pienamente dal Cavallini), è evidente che la dimostrazione della falsità degli elementi di sostegno a tale tesi, in via logica, fa emergere indici di conferma circa le ragioni della ‘preoccupazione’ posta a monte. Da ciò il frequente richiamo, nella giurisprudenza di questa Corte, alla differenza qualitativa tra l’alibi semplicemente ‘fallito’ e l’ alibi dimostratosi falso… Ed è proprio questo il punto – ad avviso del Collegio – di maggiore fragilità della tesi difensiva circa la ‘assenza di consapevolezza’ in capo al Cavallini del proposito stragista coltivato da Fioravanti e Mambro. Cavallini si è reso disponibile non solo ad ospitare i due sodali in Villorba di Treviso ma si rende disponibile ad avallare un alibi che ‘sa essere falso ab initio, con un atteggiamento espressivo che ben può essere considerato indicativo – come è avvenuto in sede di merito – della piena condivisione del programma delittuoso specifico, in ciò fornendo maggior sicurezza per la realizzazione del delitto”.

Il commento delle parti civili – Secondo le parti civili, la sentenza “si scrive una pagina fondamentale di giustizia. La Suprema Corte ha confermato infatti la responsabilità del Cavallini, del gruppo terroristico Nar e del neofascismo italiano nella commissione del più atroce e grave delitto commesso nell’Italia repubblicana. Una strage politica che, oltre a sacrificare 85 vite umane, voleva colpire mortalmente la democrazia ed il suo sviluppo”, dicono gli avvocati di parte civile Andrea Speranzoni, Alessandro Forti, Lisa Baravelli e Alessia Merluzzi. I legali hanno diffuso una lunga nota, sottolineando come “la Corte di Cassazione con questa pronuncia abbia sancito dei principi fondamentali in materia di giustizia, affermando che la verità processuale … è uno dei compiti essenziali di uno Stato di Diritto ed è quello che la Magistratura è tenuta ad offrire al popolo italiano, nel cui nome amministra giustizia. Esiste un diritto all’accertamento dei fatti – in casi di crimini di particolare gravità – che non si ricollega alle sole vittime, ma che appartiene all’intera collettività”. E ancora, proseguono gli avvocati “la collettività conosce, grazie alla conclusione di questo processo, come le Istituzioni Democratiche siano state tradite dall’interno, attraverso l’uso della violenza politica neofascista. Altri passaggi particolarmente rilevanti della motivazione sono quelli della falsità dell’alibi collettivo fornito da Mambro, Fioravanti, Ciavardini e Cavallini, nonché dove si sottolinea la presenza in chiave probatoria di elementi che ‘storicizzano’ il rapporto fra Cavallini ed esponenti della loggia P2 o dei Servizi deviati. Tale aspetto è dunque ritenuto provato. La pronuncia inoltre risponde alla tesi della difesa Cavallini che s’era concretizzata nel, sia pur tardivo, deposito della motivazione della sentenza d’appello a carico di Paolo Bellini, per sostenere l’incompatibilità delle due imputazioni. La Suprema Corte ha risposto che tale tesi è smentita ‘dalla lettura del capo di imputazione del processo Bellini, in cui il Cavallini figura come concorrente nel reato al pari di Fioravanti, Mambro, Ciavardini e altri soggetti. Ancora: del tutto e definitivamente infondato il motivo di ricorso relativo alla tanto sbandierata ‘pista palestinese’ correlata al lodo Moro. Le parti civili sottolineano inoltre che la Corte, elencando i delitti attribuibili ai Nar, “menziona anche l’omicidio di Piersanti Mattarella avvenuto a Palermo il 6 gennaio 1980, valorizzando in tal modo tutte quelle parti delle motivazioni di merito che hanno riletto questo gravissimo delitto politico”.

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