Sullo zero

  • Postato il 13 agosto 2025
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  • Di Il Vostro Giornale
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Generico agosto 2025

“Che cos’è un numero che un uomo può conoscerlo? Che cos’è un uomo che può conoscere un numero? […] La risposta non è univoca, perché dipende dal nostro modello di riferimento. Detto altrimenti, in ogni universo si gioca una matematica diversa. Ma ogni gioco ha inizio dal nulla” si tratta di un’estrapolazione dal saggio Lo zero curato da Claudio Bartocci, docente di Fisica matematica all’Università di Genova e contenuto nel più ampio Zerologia nel quale riprende una duplice domanda posta dal neurofisiologo Warren McCulloch. È proprio il concetto di nulla, che in matematica riconosciamo nello zero, l’oggetto della riflessione che riveste una valenza centrale sia in matematica che in fisica che in filosofia, senza trascurare la pesante presenza dello stesso in teologia. In altri termini: esiste il nulla? Può essere rappresentato dallo zero o dal vuoto? Può essere inteso come antitesi di presenza, ente, numero? Può dal nulla originarsi il qualcosa? Nessuna pretesa di risolvere enormi questioni in queste poche righe, cerchiamo di circoscrivere immediatamente la nostra riflessione. Il tema del nulla come origine e come destino attraversa il pensiero dell’uomo dal suo primo manifestarsi, il filosofo luterano Jakob  Böhme affermava, a cavallo tra il XVI e il XVII secolo “Il Nulla è dio, e dio ha fatto tutte le cose dal Nulla, ed è esso stesso il Nulla. Ma questo Nulla è un Nulla “strano”. Non è affatto un Nulla. E allora? Dio stesso è il “vedere e sentire del Nulla” ed è chiamato “Un Nulla” (pur essendo Dio stesso) perché è incomprensibile e ineffabile”: equilibrismi teologici di un credente che, se possono soddisfare chi ha fede, difficilmente risolvono le nostre interrogazioni di apertura. Questo nulla originario del tutto si specchia nel nulla come estremo concludersi di ogni cosa; mi torna alla mente il bellissimo romanzo, di Michael Ende, La storia infinita, nel quale il paese di Fantàsia è minacciato dall’intento distruttivo del Nulla e solo la passione di chi crede nell’impossibile lo potrà salvare, questo il compito di Atreiu e del suo alter ego Bastiano. Il romanzo speculare e circolare, e qui mi fermo invitando chi non lo conoscesse a leggerlo, esprime anche un concetto filosoficamente complesso che, con assoluta consapevole inadeguatezza, rivisitando Parmenide riduco a: l’essere è, quando diviene nel soggetto che lo invera pensandolo, e il non essere non è, nell’assenza del pensiero.

Potremmo porre la questione anche in un’ottica ancor più complessa anche se apparentemente ovvia domandandoci: oltre a ciò che sappiamo, a ciò che sappiamo di non sapere possiamo affermare che esiste ciò che non sappiamo di non sapere? L’apparente paradosso logico ci riporta alle origini del pensiero, sulle orme di greci e latini, nella loro cultura non esiste il nulla poiché, riprendendo ancora la ferrea logica parmenidea, se il nulla fosse qualcosa non sarebbe nulla; non è un caso se il numero zero è assente dalla matematica di queste culture. In realtà intorno a tre mila anni or sono, nella civiltà sumera, si incontra un simbolo cuneiforme che rappresentava l’assenza di un qualsiasi numero, il non numero, il nulla, il vuoto, insomma, lo zero. Sarebbe interessante riflettere sul fatto che i numeri siano stati inventati o scoperti, molto ci potrebbe rivelare sulla capacità dell’uomo di numerare l’esistente e di concepire il nulla, ma ci porterebbe troppo lontano e la rimandiamo a un altro momento e limitiamoci a brevi cenni storici sullo zero. Possiamo cominciare dal matematico indiano Brahmagupta che nel suo lavoro Siddhānta, oltre a un’algebra molto avanzata, propone il concetto di zero; circa un secolo dopo un matematico arabo nell’opera Al-jabr (da cui algebra) propone una numerazione fondata su nove cifre più lo zero. Va precisato che già secoli prima la matematica Hindu aveva concepito una numerazione posizionale utilizzando non nove numeri e un simbolo, ma dieci numeri dall’uno allo zero nell’opera del matematico, che i latini nomineranno  Algorismus, introdurrà il termine sunya, che in sanscrito indica il vuoto, traducendolo con l’arabo sifr. Bisognerà attendere il Liber Abaci (1192/1202) del figlio di Guglielmo Bonacci, cioè filius Bonacci e, infine, Filobonacci, per la successiva versione latina di zephirum, quindi zevero che diverrà l’attuale zero.

La secolare gestazione del numero zero risponde a una questione dagli innumerevoli risvolti anche in ambito psicologico e antropologico, basti pensare al fatto che, ancora oggi, nel nostro sistema di datazione, si passa dall’anno I a.C. all’anno I d. C. e lo zero esiste solo come spartiacque, in altre parole ancora non viene riconosciuta allo zero la medesima dignità rappresentativa che caratterizza gli altri nove numeri. Eppure senza lo zero sarebbe impossibile la matematica contemporanea, calcoli complessi sarebbero assurdi, la stessa informatica incontrerebbe non pochi problemi. Ma allora perché tante riserve nei confronti dello zero, del nulla, del vuoto? Va anche precisato che nella meccanica quantistica non esiste un vuoto privo di energia, ne consegue che non esiste il vuoto assoluto; ma abbandoniamo un ambito che non ci compete senza rimandare a buchi neri e all’indeterminazione di Heisenberg per tornare a considerazioni di natura più filosofica. Credo che un elemento peculiare della natura umana sia proprio l’horror vacui, l’angoscia del nulla, l’oscurità che non può essere illuminata dalla ragione e che lo zero, in un certo senso, rinvii inevitabilmente a tutto questo. Sappiamo bene che la “filosofia dello struzzo” non paga ed espone a rettali pericoli, sarebbe interessante una riflessione sulle ragioni che hanno condotto il pensiero orientale ad accogliere precocemente l’idea di nulla mentre in occidente sono occorsi alcuni millenni in più, anzi, si è prodotta un’ingannevole motivazione sostenendo che l’impossibilità di pensare il nulla poiché è impossibile farne esperienza, se divenisse oggetto del pensiero e dei sensi negherebbe se stesso, ci si è così accontentati dell’idea di assenza di ciò che potrebbe esserci, ma non è questo da intendersi per zero. Lo zero non è altro dai colleghi numeri, ma un elemento forse ancor più rilevante degli stessi, sempre che sia possibile una simile distinzione.

Per un Pensiero Altro è la rubrica filosofica di IVG, a cura di Ferruccio Masci, in uscita ogni mercoledì. Perchè non provare a consentirsi un “altro” punto di vista? Senza nessuna pretesa di sistematicità, ma con la massima onestà intellettuale, il curatore, che da sempre ricerca la libertà di pensiero, ogni settimana propone al lettore, partendo da frasi di autori e filosofi, “tracce per itinerari alternativi”. Per quanto sia possibile a chiunque, in quanto figlio del proprio pensiero. Clicca qui per leggere tutti gli articoli.

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Il Vostro Giornale

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