Sugar tax, slitta la tassa che danneggia l’economia senza migliorare la salute

  • Postato il 20 giugno 2025
  • Di Panorama
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La sugar tax è come certi treni: arriva sempre in ritardo. Doveva entrare in vigore con la legge di bilancio del 2020 ma fortunatamente è ancora ferma in stazione. Il governo ha deciso di spostare il fischio di partenza a fine anno. Ma attenzione, la cosa più ironica è che, oltre al rinvio, ora è sempre più probabile che quella tassa venga cancellata del tutto.

Ma prima di tirare le conclusioni, facciamo un giro attorno al mondo per capire cosa sta succedendo nei paesi che, più di noi, avevano già pensato di “tassare la dolcezza” per abbattere il diabete, l’obesità, e – perché no – anche la spesa pubblica sanitaria.

E qui si svela il primo colpo di scena: la Gran Bretagna. È proprio il paese che ci serve da esempio. Nel 2017, il governo britannico si era lanciato nella grande avventura della tassa sullo zucchero, con l’intento di ridurre il consumo di bibite zuccherate. Ma sapete cosa è successo? Nonostante le aziende abbiano tagliato i livelli di zucchero nelle loro bevande – fino al 28,8% nelle bibite, al 10,3% negli yogurt, e così via – i consumatori non solo hanno continuato a bere, ma hanno anche aumentato il consumo di dolci. L’assunzione complessiva di zucchero è aumentata del 2,6%. E come se non bastasse, i nuovi prodotti come biscotti, caramelle e gelati sono diventati “più dolci” (se possibile).

Siamo quindi di fronte a una vera e propria “trappola”: si fa una tassa, si spera che la gente mangi meglio, ma in realtà si finisce solo per aumentare il mercato dei dolci, perdendo completamente il controllo sui risultati.

Ora, in Italia, ci stiamo preparando a ripetere lo stesso errore, con l’illusione che un prelievo sulle bevande zuccherate possa risolvere il problema dell’obesità. Ma attenzione, i dati non sono dalla nostra parte. La Norvegia e il Messico, che hanno introdotto imposte simili, hanno visto che il consumo di zucchero non solo non è calato, ma ha addirittura trovato nuovi modi per aggirare il sistema.

E mentre tutto il mondo si interroga sull’efficacia della sugar tax, noi ci apprestiamo a metterla in vigore, a rischio di far crollare il settore. Una ricerca di Nomisma stima una contrazione del mercato delle bibite zuccherate del 16%, con un impatto negativo di 275 milioni di euro sul gettito Iva, ma la parte più tragica non finisce qui: circa 5.000 posti di lavoro sono a rischio.

E indovinate un po’? A farne le spese saranno soprattutto le piccole e medie imprese del settore, quelle realtà locali che già faticano a tenere il passo.

Ma non è solo una questione economica, è una questione di occupazione. Mentre le multinazionali come Coca-Cola hanno i mezzi per sopravvivere a una tassa, le piccole aziende italiane – che sono il cuore pulsante dell’economia nazionale – rischiano di chiudere, mettendo sul lastrico migliaia di famiglie.

Per non parlare delle ripercussioni sugli indotti locali: i due stabilimenti Coca-Cola a rischio chiusura in Abruzzo e Campania potrebbero lasciare senza lavoro oltre 2.300 persone.

Ecco perché ogni volta che si parla di imposte “etiche” o “per il bene della salute”, bisognerebbe ricordare che anche la salute economica del Paese conta.

E ora la parte più surreale di questa storia: il governo italiano è contrario alla sugar tax, eppure… ogni tanto sembra volerla abbracciare più per una questione di “prestigio internazionale” che di vera efficacia.

Si giustifica tutto in nome della salute pubblica e della prevenzione sanitaria, ma nella realtà il rischio è che il nostro Paese si trovi con una tassa che non solo non fa bene alla salute, ma danneggia anche l’economia.

Forse sarebbe meglio mettersi in testa che le vere soluzioni, quelle che portano a un miglioramento della salute, non si trovano nel pacchetto di una tassa, ma in un cambiamento culturale.

E quel cambiamento passa attraverso l’educazione alimentare, non un balzello imposto dallo Stato.

Autore
Panorama

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