Su Cdp Reti il danno è stato fatto, Roma ora neutralizzi la Cina con il golden power. La versione di Sapelli
- Postato il 28 novembre 2025
- Economia
- Di Formiche
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Troppo facile piangere sul latte versato. L’errore commesso undici anni fa dall’allora governo Renzi, che aprì le porte di Cassa depositi e prestiti a alla Cina, vendendo per 2,1 miliardi il 35% di Cdp Reti, vale a dire la testa e il cuore delle reti strategiche italiane (gas ed elettricità su tutte), si continua a pagare. Un’operazione, datata luglio 2014, allora mascherata come espressione del libero mercato e della necessità di imbarcare un investitore di peso, prontamente denunciata da questo giornale, anche e non solo attraverso una sequela di approfondimenti che portarono a un dibattito.
Ma il corso degli eventi non cambiò. L’ultimo scotto porta il nome di Snam, la cui acquisizione del 25% di Open Grid Europe, il gestore di dodicimila chilometri di rete tedesca, è stata affossata da Berlino proprio perché dentro la casa madre, Cdp Reti, figura un ospite sgradito. Quella State Grid controllata dallo Stato cinese che in Cdp Reti, dice l’economista e storico Giulio Sapelli, non avrebbe mai dovuto mettere piede.
“Sì, nel 2014 fu commesso un errore madornale. Un errore ormai scritto nella storia”, mette subito in chiaro Sapelli. “Adesso stiamo aprendo gli occhi, ora che alla Casa Bianca è arrivata una nuova amministrazione stiamo capendo, in Italia, quanto accaduto undici anni. Ma è tardi, il danno è stato fatto”. L’economista si sofferma sull’atteggiamento prono dei vari governi italiani in questi anni, rei di non aver vigilato e tanto meno ostacolato, l’ingresso di capitali cinesi. Non ultimo, il caso di JdCom, il colosso del Dragone attivo nell’e-commerce che ha messo le mani sulla grande distribuzione di elettronica si consumo, a cominciare da MediaWorld.
“Qualcuno ha dormito in piedi. Voglio dire, non stiamo parlando di fabbriche di cioccolato o di caramelle, ma di reti. E quando dico reti intendo dati, energia, tecnologia. In poche parole, asset strategici. Dovremmo decorare con una medaglia i manager di Prysmian, che hanno dato un chiarissimo segnale in termini di salvaguardia e tutela delle reti (lo scorso settembre Prysmian, società milanese che realizza cavi per le telecomunicazioni e per la trasmissione di energia, ha firmato un accordo per la vendita di una quota del 5% di Yangtze Optical Fibre and Cable Yofc, azienda cinese specializzata nella fibra ottica e quotata alle borse di Hong Kong e di Shanghai, completando o quasi il disimpegno dal mercato cinese, ndr). Invece lo Stato italiano, ai cinesi, le reti le ha date. Pechino vuole accrescere il proprio know how ed entrare in possesso di tecnologie. Ma anche dotarsi di manager, ricercatori e manodopera altamente qualificata di cui c’è scarsità nel Paese”.
A questo punto è lecito chiedersi, come rimediare? “Difficile farlo, sono passati undici anni e i vari esecutivi sono stati troppo lenti, macchinosi. Possiamo però imparare la lezione. Ben venga una possibile fusione tra Terna e Snam, così da diluire la presenza di State Grid. Ma il problema è politico. Da qui in avanti bisogna lavorare di Golden power, prendere il toro delle corna. Hanno ragione i tedeschi ad aver fermato l’operazione con Snam, troppo pericoloso portarseli dentro casa. Una scelta, quella tedesca, decisamente azzeccata. Non dimentichiamoci che la Cina è debole dentro, che le sua economia non è forte come si crede. Questo aumenta la sua aggressività all’esterno. Forse sarebbe il caso di capirlo e regolarci di conseguenza”.