Studente pakistano respinto agli Esami di Stato: il suo valore non può essere ridotto all’esito di due prove scritte

  • Postato il 8 luglio 2025
  • Scuola
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 Il Coordinamento Nazionale Docenti della disciplina dei Diritti Umani prende posizione sul caso dello studente Nadir – nome di fantasia – arrivato dal Pakistan nel 2020, inserito in una scuola superiore bolognese, dove ha percorso con costanza cinque anni di studio per poi essere respinto all’Esame di Stato. È il solo bocciato dell’intero istituto, ma quello che più colpisce non è l’eccezione statistica. È l’eccezione umana.
Una bocciatura non è mai una semplice registrazione burocratica, non è mai “solo” la conseguenza di una prova andata male. È un evento educativo fortemente identitario, che incide nella storia personale di chi la subisce, nella sua autopercezione, nel modo in cui sente di appartenere (o no) al sistema che lo ha accolto. Ciò vale per ogni studente, ma ha un peso del tutto particolare per chi ha dovuto attraversare fratture linguistiche, culturali e sociali per guadagnarsi un posto nel banco.
Il caso di Nadir interroga il significato autentico del verbo “valutare”. Se valutare deriva dal latino valere, significa riconoscere il valore. E il valore di uno studente come Nadir non può essere ridotto all’esito di due prove scritte, per quanto fondamentali. In gioco non c’è la bontà o meno di una griglia di correzione, ma la capacità della scuola di leggere i percorsi, di soppesare le traiettorie, di onorare la fatica silenziosa e quotidiana che molto spesso è invisibile nei compiti ma evidente nella storia.
La comunità scolastica, che ha accompagnato Nadir per cinque anni, ha scritto una lettera in sua difesa. Un atto che ci parla di alleanza educativa, di empatia, di un tessuto relazionale che si è costruito nel tempo. Eppure, tutto questo non è bastato. Al momento decisivo, la scuola si è espressa con un giudizio netto e formale: non idoneo.

Eppure, la domanda resta: può una scuola democratica, inclusiva, fondata sui diritti e sull’equità, fermarsi a una valutazione tecnica e ignorare tutto ciò che sta attorno – e dentro – alla persona che valuta?
La ricerca pedagogica e psicologica – da Jerome Bruner a Carol Dweck – ci ricorda che gli studenti apprendono non solo contenuti, ma identità. Che l’autoefficacia nasce dal riconoscimento e che l’insuccesso, se non accompagnato, può trasformarsi in rinuncia. E in questo caso, la rinuncia sembra già in atto: dopo la comunicazione dell’esito, la scuola non è riuscita più a contattare Nadir. Non un gesto di stizza, forse, ma un silenzio carico di smarrimento.
Questo non è solo un caso singolo. È una cartina di tornasole. Dietro Nadir ci sono migliaia di studenti che affrontano sfide aggiuntive: imparare una lingua nuova mentre imparano tutto il resto, trovare il proprio posto in una cultura sconosciuta, decodificare codici impliciti della scuola italiana senza alcun dizionario. La didattica personalizzata, i PDP, i corsi di italiano L2 sono strumenti validi, ma non sono sufficienti se la cultura valutativa resta ferma a una logica binaria: dentro o fuori, idoneo o non idoneo.
Non chiediamo sconti. Chiediamo giustizia educativa. Che non è indulgenza, ma capacità di misurare il merito includendo le condizioni di partenza e il cammino compiuto. Che sa vedere il potenziale anche dietro un errore, che sa dare valore alla fatica, alla tenacia, alla trasformazione.
A Nadir vogliamo dire che la scuola non è finita. Che la sua storia non si esaurisce in una bocciatura. Che essere maturi, spesso, significa resistere anche quando sembra inutile. E che un sistema che ha saputo accoglierlo per cinque anni ha il dovere morale di non lasciarlo andare via in silenzio.
Alla scuola italiana chiediamo uno sforzo collettivo: rimettere al centro la persona, fare della valutazione un momento di ascolto, coltivare una cultura della fiducia, non solo della verifica.
Il diritto allo studio non si difende a parole, ma nei fatti. Ogni giorno. A partire da ogni ragazzo che bussa alla nostra porta con la sua storia, la sua lingua, i suoi limiti. E la sua speranza.
prof. Romano Pesavento
Presidente CNDDU

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