Stucchi: il latino dà la dimensione del tempo e della memoria, ecco perché è giusto insegnarlo già alle medie

  • Postato il 17 gennaio 2025
  • Di Libero Quotidiano
  • 1 Visualizzazioni
Stucchi: il latino dà la dimensione del tempo e della memoria, ecco perché è giusto insegnarlo già alle medie

E così, mercoledì 15, ci siamo svegliati con il latino alle medie, dove, secondo la proposta del Ministro dell'Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara, la disciplina rientrerà, (...) per un'ora settimanale, a partire dal secondo anno. E non solo: il latino alle medie non è che una delle proposte che vogliono frenare la débâcle nella preparazione degli studenti italiani in grammatica e comprensione del testo, evidenziata dalle indagini statistiche degli ultimi anni. Insieme, la proposta del Ministro prevede, infatti, anche un rafforzamento delle competenze nella lettura, e l'invito a proporre le care, vecchie, sempre utili poesie imparate a memoria: non solo filastrocche, ma anche brani di poeti contemporanei.

Un ritorno al passato? No, assolutamente; piuttosto, un argine – speriamo solo non innalzato troppo tardi – contro una rovinosa caduta della competenza d'uso e della conoscenza della nostra lingua. E noi sappiamo che, senza un sicuro possesso della lingua, anche il pensiero logico e astratto stenta a decollare. Quanto al latino, è evidente che con un'ora settimanale non si può certo pensare che l'intento del Ministro sia di far diventare tutti i ragazzi latinisti in erba; non solo non sarebbe realistico, ma non è questo l'intento, la ratio diremmo noi, del provvedimento. Lo studio del latino va infatti inteso, in questo contesto, come strumento di educazione linguistica, riflessione sulle strutture della lingua, ampliamento e acquisizione ragionata e sistematica del lessico, ma anche, aggiungo sommessamente, di elementi di civiltà e cultura veicolati dalla lingua, e di cui ormai si riscontra una generalizzata ignoranza fra gli adolescenti e i giovani. Essi, infatti, studiano la storia antica alla scuola primaria negli ultimi due anni, non la rivedono se non nel biennio delle superiori, schiacciata dall'esigenza però di concludere il biennio giungendo all'anno Mille.

 

 

 

Studiare il latino alla secondaria di primo grado deve pertanto diventare una opportunità per riflettere sulle strutture della lingua, acquisire lessico, ma anche metodo di studio, per accostarsi a una lingua flessiva, cosa che ricapiterà in altre occasioni nella vita, se, per esempio, per necessità di studio odi lavoro si dovrà imparare il tedesco, o il russo, o altri idiomi provvisti delle terribili declinazioni, che, a quanto pare, fanno più paura della bomba H, visto il fuggi fuggi generalizzato che, da oltre dieci anni a questa parte, riscontrano gli indirizzi liceali che prevedono lo studio del latino, a tutto vantaggio di corsi come il Liceo Scientifico delle Scienze Applicate.

Intendiamoci, si tratta di un percorso di studi validissimo, che però viene spesso scelto per quello che non c'è (il latino) invece che per quello che prevede il piano di studi (molte ore di scienze studiate in chiave laboratoriale e molta matematica). Che lo studio del latino in età pre-liceale non sia un relitto nostalgico del buon tempo che fu (come vorrebbe intendere erroneamente Annalisa Cuzzocrea su Repubblica di ieri) o una vessazione che non tiene conto delle reali necessità dei ragazzi non è vero, e lo sa bene chiunque insegni; e, in realtà, ce lo dice anche un intellettuale che nessuno taccerebbe mai di passatismo: nientemeno che Pier Paolo Pasolini, il quale si occupò della “questione del latino” quando, negli anni Settanta, esso sparì dalla scuola media unica, nata nel 1962, e nella quale, per oltre dieci anni, era possibile scegliere il latino come materia opzionale in vista dell'iscrizione al liceo.

Ebbene, Pasolini scrisse che si doveva difendere a spada tratta quello che chiamava «il povero latino delle medie» non quale trofeo di un tempo glorioso ormai finito, ma perché esso non era affatto un nemico; anzi, attraverso quell'insegnamento, pur limitato a una manciata di ore, ancora oggi acquisiamo capacità critiche e di analisi che ci rendono cittadini liberi e responsabili.

 

 

 

Paradossalmente, in questi anni il latino ha trovato tanti difensori anche fuori dalla scuola: pensiamo, se dobbiamo elencare solo le più recenti uscite in libreria, a Nicola Gardini, con Viva il latino, dal provocatorio sottototitolo Storie e bellezza di una lingua inutile (Garzanti); a Vittorio Feltri, Il latino, lingua immortale. Perché è più vivo che mai (Mondadori); e, si parva licet componere magnis, al mio Come il latino ci salva la vita (Edizioni Ares), apologia sorridente, ma seria, dello studio della lingua di Cicerone. Perché il latino, soprattutto, insegna l'ecologia linguistica e di pensiero, e la dimensione del tempo: elementi di cui i ragazzi – e non solo loro – hanno un tremendo bisogno.

E allora, concludiamo con le parole di Ivano Dionigi, insigne latinista, già rettore dell'Università di Bologna, che, all'inizio dell'a. s. 2017-18 rivolse a tutti gli studenti che nell'Emilia Romagna avrebbero iniziato una scuola secondaria di secondo grado con lo studio del latino, questa lettera aperta, che l'Ufficio Scolastico Regionale diffuse e che ebbe vasta risonanza. Essa era indirizzata ai quattordicenni, ma è adattissima anche ai loro colleghi di poco più giovani, e anche a noi:
Il latino ti insegna l'importanza della parola. Noi oggi parliamo male e abbiamo bisogno di ecologia linguistica. Simili agli abitanti di Babele, rischiamo di non capirci più; vittime di una comunicazione frettolosa, malata e talvolta anche violenta, smarriamo il vero significato delle parole. Il latino, lingua madre del nostro italiano, ci consente di risalire al significato originario delle parole, di riconoscere il loro volto, di ripercorrere la loro storia: perché le parole, come le persone, hanno un'origine, un volto, una storia. (...) In un momento in cui sempre più marcata si fa l'attenzione sull'io a scapito del noi, gioverà la lezione di una lingua e cultura che metteva al centro l'uomo come cittadino (civis), che sapeva distinguere e coniugare la città architettonica dei muri e delle mura (urbs) con la città della convivenza civile e politica (civitas). (...) Il latino ti insegna la dimensione del tempo. Lingua madre delle lingue neolatine dal Mar Nero all'Atlantico e per oltre venti secoli lingua europea della politica e dell'Impero (Imperium ), della religione e della Chiesa ( Ecclesia ), della cultura e della scienza (Studium), il latino ci mette in relazione con la storia; e ci dice che la cultura, come la vita, è un patrimonio comune e perenne che varca l'oggi e appartiene non solo a noi ma anche ai trapassati e ai nascituri. Forse questa è l'eredità più preziosa, perché oggi tu — connesso con l'immensa Rete del mondo ( www ) — rischi di sperimentare solo la dimensione spaziale e di rimanere schiacciato dall'eterno presente: senza cognizione del tempo, l'unica dimensione che ci consente di conoscerci e di progettare».

 

 

 

Continua a leggere...

Autore
Libero Quotidiano

Potrebbero anche piacerti