Stop ai flussi dall’Ucraina, Gazprom licenzia 1.600 dipendenti. E ora è braccio di ferro con gli Usa sul controllo della serba Nis
- Postato il 18 gennaio 2025
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- Di Il Fatto Quotidiano
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Gazprom, il gigante statale russo degli idrocarburi, ha annunciato il taglio di 1.600 dipendenti, con funzioni amministrative, nella sua sede di San Pietroburgo, una mossa decisa soprattutto per far fronte al calo delle entrate legate alle esportazioni di gas verso il mercato europeo. Lo stop alle forniture verso l’Europa attraverso l’Ucraina, con i rubinetti che si sono chiusi ufficialmente a gennaio 2025, dopo il rifiuto di Kiev di rinnovare l’accordo di transito, porterà infatti, secondo alcune stime, a una diminuzione dei ricavi pari a 5 miliardi di euro, il 6% circa del fatturato dell’azienda dell’energia controllata da Mosca.
L’interruzione del flusso verso ovest è arrivata in un momento particolarmente delicato per Gazprom: nel 2023 il gruppo ha registrato la sua prima perdita annuale dal 1999, pari a 7 miliardi di dollari. Gli oltre due decenni di grande crescita avevano portato i lavoratori della sede della seconda città russa a superare quota 4.000, con il monte stipendi che ha toccato i 486 milioni di dollari. Da qui la necessità di un’ottimizzazione e di uno snellimento della forza lavoro, che per ora dovrebbe riguardare solamente il personale amministrativo senza toccare i dipendenti attivi nei siti produttivi. Per avere un’idea delle dimensioni del colosso russo e della sua rilevanza sistemica, basti pensare che l’azienda impiega 498mila persone.
La Russia si trova di fronte a un crocevia potenzialmente decisivo sul fronte dell’energia. Nei giorni scorsi l’amministrazione Biden ha imposto nuove e più dure sanzioni nei confronti proprio di Gazprom Neft e della società Surgutneftegas, oltre che di 183 navi cisterna “fantasma” utilizzate per trasportare il petrolio russo verso i mercati esteri, soprattutto quello cinese e quello indiano.
Pechino e Nuova Delhi potrebbero essere spinte a individuare nuovi fornitori, considerando che il precedente bando USA nei confronti di altre 39 petroliere aveva comportato la fine dell’operatività per 33 di esse. Probabile quindi che i due giganti asiatici vogliano agire per tempo, aprendo vie alternative di importazione per non ritrovarsi all’improvviso senza rifornimenti energetici, lasciando così Mosca senza i due mercati principali di riferimento.
Un primo episodio dimostra quanto questo rischio sia concreto per la Russia: come riportato da Bloomberg, subito dopo l’annuncio da parte di Washington del nuovo round di sanzioni, tre navi cisterna che trasportavano oltre due milioni di barili di greggio russo della Siberia Orientale e dell’Oceano Pacifico verso le coste cinesi si sono fermate prima di giungere a destinazione, a seguito del divieto di attracco emesso dalle autorità di Pechino.
Un altro grattacapo per il Cremlino potrebbe venire dalla Serbia. Gli Stati Uniti hanno infatti mandato un chiaro segnale al paese balcanico: il partenariato strategico tra Belgrado e Washington rimarrà in piedi solamente se nelle prossime settimane (la scadenza è stata fissata al 12 marzo), verrà ridotta a zero la quota di maggioranza che Gazprom attualmente detiene del gruppo petrolifero serbo Nis. Complessivamente la società russa ha oggi quasi il 60% delle quote della controparte afferente a Belgrado, mentre quest’ultima ne possiede circa il 30% (il restante 10% è di proprietà di azionisti minori).
Il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov ha chiesto immediatamente consultazioni urgenti alla Serbia, sottolineando la vicinanza della Federazione ad essa ma allo stesso tempo affermando che esiste il rischio che il paese balcanico venga messo sotto ricatto da Bruxelles e da Washington, in vista di una possibile adesione all’Unione Europea. Sarà interessante valutare come deciderà di muoversi il presidente serbo Aleksandar Vucic: negli ultimi anni l’uomo forte di Belgrado ha impostato una politica estera basata su un delicato equilibrio tra ovest, dichiarandosi spesso vicino ai valori rappresentati da Europa e Stati Uniti, ed est, approfondendo sempre di più la relazione bilaterale con Mosca e Pechino. Un distanziamento dal presidente russo Vladimir Putin, che sulla carta è uno degli alleati di ferro di Vucic, potrebbe rappresentare un duro colpo per la strategia impostata dalla Russia dopo l’inizio dell’invasione dell’Ucraina.
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