Stipendi pubblici, la Consulta elimina il tetto dei 240mila euro: «La norma è illegittima»
- Postato il 28 luglio 2025
- Di Panorama
- 4 Visualizzazioni


Dopo oltre un decennio, salta il tetto ai maxi stipendi pubblici fissato a 240mila euro. La Corte Costituzionale ha dichiarato illegittima la norma che dal 2014 congelava le retribuzioni dei vertici della pubblica amministrazione, dai magistrati alle authority. Secondo la Consulta, la soglia fissa non è più giustificata dalla crisi economica che ne aveva motivato l’introduzione: è venuto meno il carattere di “straordinarietà” e la misura, così come formulata, non è più compatibile con la Costituzione.
Un tetto nato per l’emergenza
Il limite retributivo venne introdotto nel 2011 con il decreto-legge n. 201, all’apice della crisi del debito sovrano. Inizialmente agganciato allo stipendio del primo presidente della Corte di Cassazione, lo standard si attestava intorno ai 255mila euro lordi annui. Tre anni dopo, nel 2014, il legislatore decise un ulteriore giro di vite: la soglia venne fissata in modo uniforme per tutti i dipendenti pubblici, a prescindere dal ruolo, a 240mila euro. Una misura che colpì soprattutto le fasce più alte, in particolare la magistratura.
Cosa cambia ora
Secondo la sentenza della Corte, il principio di un tetto retributivo non è di per sé incostituzionale. Ma deve essere proporzionato, aggiornabile e legato a criteri oggettivi. Tradotto: si torna al meccanismo originario, che prevede un collegamento dinamico tra gli stipendi più alti della PA e quello del primo presidente della Cassazione, oggi pari a 313.080 euro lordi annui, inclusa l’indennità di rappresentanza.
La nuova soglia dovrà essere stabilita con decreto del Presidente del Consiglio, sentite le Commissioni parlamentari competenti. E sarà soggetta a periodiche revisioni.
Effetti e tempistiche
La sentenza non ha effetto retroattivo: non darà luogo a rimborsi o risarcimenti per chi ha visto il proprio stipendio ridursi negli ultimi dieci anni. Ma avrà effetto immediato dal giorno successivo alla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, con implicazioni importanti per tutti i comparti del pubblico impiego. I dipendenti con retribuzioni al limite massimo – o oltre – potranno veder modificato il loro trattamento, in funzione del parametro aggiornato.
Un segnale anche politico
La decisione riaccende il dibattito sul valore del lavoro pubblico e sul rapporto tra retribuzioni e responsabilità. Il ministro della Pubblica amministrazione Paolo Zangrillo ha già sottolineato la necessità di valorizzare le competenze interne, anche al di fuori delle tradizionali procedure concorsuali. E il rinnovo dei contratti per i dirigenti, in discussione in queste settimane, prevede aumenti che vanno da 580 a 1.500 euro.
Oltre il simbolo, il nodo delle risorse
La reintroduzione di un tetto retributivo flessibile rappresenta una scelta responsabile in un contesto di rigore sui conti pubblici. Pur mantenendo i vincoli di bilancio necessari per la stabilità economica, questa decisione consente di valorizzare merito e competenze nelle posizioni apicali, superando il limite fisso che nel 2014 era stato pensato come misura emergenziale. Oggi, come sottolinea la Corte, i tempi dell’emergenza sono alle spalle e l’amministrazione pubblica deve evolversi, abbandonando un approccio automatico e rigido per adottare un sistema più equo, meritocratico e capace di sostenere la competitività del Paese. Una riforma in linea con la visione di governo che guida il Paese verso efficienza e responsabilità.