Stellantis sfida Bruxelles: “Serve cambiare le regole verdi”. Filosa smonta il dogma elettrico
- Postato il 20 ottobre 2025
- Di Panorama
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C’era una volta il Green Deal. Quel patto verde, iper-virtuoso e vagamente nordico che prometteva all’Europa un futuro pulito, elettrico e — dettaglio non secondario — inaccessibile ai più visti i costi. Oggi, a Torino, Antonio Filosa, il nuovo ceo di Stellantis chiesto ai sindacati italiani una mano per smontare Bruxelles.
Non proprio una passeggiata. Ma tant’è: «Serve cambiare le regole Ue sull’auto», ha detto nella riunione tenuta nel quartier generale torinese del gruppo. Il sottotesto è chiaro: le regole verdi vanno riviste, ritarate e possibilmente spedite in prepensionamento con il rito abbreviato, perché nel frattempo le fabbriche (italiane, in particolare) languono e i clienti — tanto per cambiare — non comprano quello che da Bruxelles vorrebbero che acquistassero.
Filosa non è un politico, ma il discorso suonava più da europarlamentare che da manager: «Gli obiettivi imposti dalla Commissione sono troppo stringenti, hanno spiazzato sia la domanda che l’offerta. Così non si rilancia nulla. Per farlo, bisogna cambiare le regole, puntare sulla neutralità tecnologica, sostenere le piccole auto e rivedere i target sui veicoli commerciali “non sono raggiungibili”». Parole che più chiare non si può.
Ora, chiedere ai sindacati di fare lobby con Bruxelles è una mossa interessante. L’idea di una Fiom con il trolley in Rue de la Loi ha un suo fascino, ma per il momento i sindacalisti sono sembrati più interessati ai problemi di casa loro. O, meglio, delle fabbriche italiane dove l’attività va avanti a singhiozzo e i piani industriali sono spesso più dei buoni propositi che delle roadmap con scadenze certe.
Eppure, qualcosa si muove. Filosa ha confermato che il “Piano Italia” esiste, è solido, ed è persino in orario. Roba da stappare un prosecco, se non fosse che i problemi strutturali restano tutti sul tavolo. A Mirafiori, per esempio, è in arrivo — finalmente — la nuova Fiat 500 ibrida. Un’auto che avrebbe potuto (e forse dovuto) arrivare almeno due anni fa, ma che inizierà la produzione a novembre. E per accompagnarne la nascita, Stellantis ha annunciato anche 400 assunzioni, il che — nel deserto occupazionale di oggi — suona quasi come una rivoluzione.
«Non è abbastanza», ha detto Filosa, con una sincerità apprezzabile. «Ma è tutto quello che potevamo fare». Il che, detto da chi guida uno dei più grandi gruppi automobilistici del mondo, fa riflettere. Traduzione: serve cambiare le regole se vogliamo fare di più.
A Melfi parte la produzione della nuova Jeep Compass, altra tessera del puzzle, mentre a Cassino il tempo sembra essersi fermato. Lì si aspetta la transizione alla piattaforma STLA Large per la nuova Stelvio e la nuova Giulia. Dovevano essere elettriche ma — sorpresa — ora si valuta anche la versione ibrida. Evidentemente qualcuno ha realizzato che gli italiani non si strappano ancora i capelli per un’auto elettrica da 60.000 euro con 300 km di autonomia teorica e colonnine a singhiozzo.
Risultato: il lancio slitta al 2027. Tre anni in più, ma con l’aggiunta di una motorizzazione che forse avrà qualche speranza di finire in produzione.
E poi c’è Termoli, il mistero irrisolto. Doveva sorgere la Gigafactory delle meraviglie, la fabbrica delle batterie del futuro in salsa tricolore, ma tutto è fermo. La joint venture ACC — Automotive Cells Company, la creatura franco-tedesco-italiana per la produzione di batterie — ancora nicchia. Una decisione, ha detto Filosa, arriverà «entro la fine dell’anno». Per ora, l’unica certezza è che si lavora su un progetto per produrre trasmissioni. Un bel salto indietro, in una filiera che voleva essere all’avanguardia della rivoluzione verde.
Insomma, tra assunzioni che non bastano, modelli ibridi che si fanno attendere e piani industriali a geometria variabile, la vera notizia del giorno è che Stellantis si è stancata del dogma elettrico imposto dall’Europa. E non è l’unica. Dietro le parole di Filosa si intravede un disagio più profondo: quello di un’industria che si sente guidata non dal mercato ma da un’agenda politica più attenta al clima del 2050 che alla disoccupazione del 2025.
Così, dopo aver dato fondo al vocabolario della transizione ecologica, ora tocca ai sindacati — paradossalmente — aiutare Stellantis a fare il lavoro sporco: ridare all’auto una logica industriale, non ideologica. Magari partendo proprio da Torino, dove tutto è iniziato. E dove, almeno per ora, l’unica vera “gigafactory” è quella delle buone intenzioni.