Stella è tornata: tra ‘Tempo delle mele’ e saga di Antoine Doinel, un coming of age femminile da applausi

  • Postato il 21 novembre 2024
  • Cinema
  • Di Il Fatto Quotidiano
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Una, cento, mille Stella. Vi ricordate quel piccolo film francese distribuito dalla Sacher nel 2008 e diretto da Sylvie Verheyde con protagonista una undicenne sui generis, figlia di ruvidi baristi parigini, ammessa ad un collegio prestigioso ma ancorata alle sue radici popolari? Ecco, Stella è tornata e si ritrova diciottenne nel 1984 a studiare per la maturità con in testa un baschetto da Black Panther, un filo sottile di intrigante rossetto sulle labbra, mille pensieri sul futuro, la disco, i ragazzi e una famiglia a pezzi.

Stella è innamorata (la produzione è del 2022, quindi 14 anni dopo, anche se esce ora in Italia) è il classico racconto di formazione dove l’acerba adolescenza della protagonista subisce gli scossoni del cuore, della passione e qui pure del ceto socio-economico. Stella è del resto un personaggio adolescenziale atipico: silenziosa, sfuggente, determinata comunque ad essere attraente per i maschi, attenta a cadere sempre in piedi anche quando sono l’esaurita madre e il fedifrago padre e toglierle certezze psicologiche e materiali. Stella è innamorata è infatti un film profondamente libertario e per nulla snob, spesso virato su cromatismi notturni, trucco parrucco e costumi punk chic urbani, soffusa musica da discoteca anni ottanta (per intenderci alla Last night dj save my life) puntellata nei momenti di apertura e chiusura da due gioielli crepuscolari italiani (Vado Via di Pupo e Mille anni più di me di Franco Tortora).

L’ottima, misurata, intensa Flavie Delange incarna quell’ostinata confusione sentimentale dei diciottenni, ma anche la non colorabile e non ideologizzabile incertezza sociale di quella piccola borghesia francese sgangherata e borderline, vagamente poujadista. Verheyde (ancora regista e sceneggiatrice come in Stella) fa oscillare la spiritualità della propria opera tra l’irruenza silente alla Antoine Doinel e la tenera inesperienza da Il tempo delle mele, facendo entrare tanto disinibito linguaggio sessuale e filtrare quella sottile striscia di polvere classista (il liceo con le compagne bene e l’amato ballerino di origine africana che imita le Pantere Nere americane) da togliersi dalle spalle e dalla vita per diventare adulti. Un po’ come quando la voce fuori campo di Stella, che ogni tanto fa capolino nel film, spiega: “Forse la vita era una merda ma lei (la madre di Stella ndr) riusciva a condirla bene”. Negli ultimi due minuti un prezioso overlapping sonoro va a riprendersi e tirarsi dietro tutta la forza del racconto condensandola in quaranta rapide inquadrature/frammenti per uno dei finali più speranzosi e sinceri del cinema coming of age. Distribuisce Nomad entertainment.

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Il Fatto Quotidiano

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