Stati Uniti, la polizia anti-immigrazione usa l’intelligenza artificiale per tracciare i social dei cittadini da deportare

  • Postato il 29 ottobre 2025
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Un sistema di sorveglianza di massa per tracciare gli immigrati. Il governo statunitense l’ha pagato 5,7 milioni: l’intelligenza artificiale di Zignal Lab – l’azienda che fornisce il servizio – naviga i social alla ricerca di informazioni sul cittadino da deportare. La compagnia, che ha visto la luce nel 2011, affonda le radici nella Silicon Valley, il cuore dell’industria tecnologica americana. Zignal Lab monitora le grandi piattaforme, scansionando otto miliardi di contenuti al giorno in oltre cento lingue. La sua IA scava in un “ambiente informativo complesso che genera 29 milioni di TB di dati sui social media ogni giorno” – come si legge sul portale della società – e ne estrae, isolandole, informazioni utili ai clienti.

Tra i più illustri la multinazionale HP, il Ministero della Difesa britannico e quattro Dipartimenti del governo americano: Guerra, Tesoro, Affari Esteri e Sicurezza Interna. Sotto quest’ultimo opera l’ICE (Immigration and Customs Enforcement), che in base ad alcuni documenti divulgati da “The Lever” (giornale investigativo statunitense), avrebbe implementato gli strumenti di Zignal Lab nelle sue strategie di contrasto all’immigrazione. La collaborazione passa attraverso Carahsoft, “partner” dell’azienda (insieme ad Amazon Web Services) e conglomerato che distribuisce soluzioni IT per agenzie governative.

La società avrebbe collaborato anche con l’esercito israeliano: un report di Zignal Lab – definito “confidenziale” e tuttavia accessibile a chiunque – descrive casi d’uso tattici. L’IA, nell’ambito di una manovra nella Striscia, ha rilevato in tempo reale un video pubblicato su Telegram che rendeva nota la posizione degli “operatori sul campo”. “Queste informazioni”, riporta la nota, “vengono immediatamente inviate come alert di prossimità, consentendo […] di intraprendere azioni correttive” come “cambiare percorso, ecc”.

La compagnia, in sintesi, setaccia grandi volumi di contenuti pubblici (post, commenti, video, news, forum) e ne ricava informazioni fruibili dal cliente: ricerche, alert, trend, sentimenti diffusi tra i consumatori. O, se è utile all’acquirente, la geolocalizzazione di uno o più soggetti; cioè, si presume, la funzionalità che interessa di più all’ICE e ai suoi dirigenti. A partire da contenuti diffusi via social – estraendo da foto e video i metadati o, se sono andati persi, indizi visivi/testuali – l’autorità potrebbe risalire alla posizione dei cittadini da deportare.

Il contratto milionario con Zignal LAB è soltanto l’ultimo tassello di un progetto più esteso e articolato di sorveglianza e controllo sociale: negli ultimi mesi l’ICE ha acquistato strumenti di riconoscimento facciale e sfruttato le ALPR, telecamere adibite alla lettura delle targhe, – accedendovi informalmente – per tracciare gli immigrati. L’amministrazione Trump ha potenziato l’agenzia moltiplicandone i fondi ed equipaggiandola con nuove tecnologie. Ora l’ombra dell’istituzione si allunga sui social media; a inizio ottobre, infatti, Wired ha rilevato che l’ICE stava valutando la formazione di un team deputato al monitoraggio (h24) di Facebook, Twitter, Instagram, TikTok, Reddit e YouTube. Poi è arrivato l’accordo con Zignal Lab.

I potenziali abusi preoccupano la società civile: secondo Will Owen, direttore della comunicazione del Surveillance Technology Oversight Project (STOP), l’ICE “userà il monitoraggio dei social media guidato dall’IA non solo per terrorizzare le famiglie di immigrati, ma anche per prendere di mira gli attivisti che combattono contro i suoi abusi. Questo è un attacco alla nostra democrazia e al diritto alla libertà di espressione, alimentato dall’algoritmo e pagato con le nostre tasse”.

Del resto Peter Hatch, un poliziotto dell’ICE, ha testimoniato in sede processuale che quest’anno in seno all’agenzia si è formato un gruppo (denominato “tiger team”) che lavora all’espulsione degli studenti universitari filo-palestinesi, individuati e schedati dal controverso sito pro-israeliano “Canary Group”. Per Sacha Hawort “è un altro esempio di come i CEO delle Big Tech collaborino con un governo federale sempre più autoritario, nell’ambito dei continui tentativi di Trump di reprimere la libertà di parola”. “Questo”, ha concluso l’attivista, “dovrebbe terrorizzare e far infuriare ogni americano”.

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