Stalking in famiglia a Torino: “Un matrimonio fatto di imposizioni e divieti del marito”

  • Postato il 13 gennaio 2025
  • Cronaca
  • Di Il Fatto Quotidiano
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Dietro le mura domestiche si celava un matrimonio pieno di “regole” soffocanti. A Torino una donna è stata costretta a vivere una quotidianità fatta di imposizioni e divieti, che “avevano reso la vita di coppia fonte di sofferenza”. Un incubo terminato solo quando la donna ha trovato il coraggio di denunciare il marito, che è stato successivamente condannato per stalking, maltrattamenti (anche davanti alle figlie minorenni), danneggiamento e accesso abusivo alla mail, a tre anni di carcere convertiti in domiciliari. La storia, riportata da Il Corriere della Sera, è stata riassunta dalle motivazioni della sentenza firmata dal giudice estensore Milena Chiara Lombardo.

Era già venuta alla luce dalle carte presentate dal legale di parte civile, l’avvocato Isabella Ferretti, mentre la collega Federica Dolfi ha assistito una delle figlie: “Condotte aggressive e persecutorie, per un caso di maltrattamenti a 360 gradi: non bisogna soffermarsi solo sugli episodi di violenza fisica”. Per comprendere l’incubo che viveva la donna basta riepilogare le “regole” che il marito le aveva imposto: tra queste ha annotato il tribunale “il divieto di mangiare carne di cavallo al sangue, perché ‘ero un animale se la mangiavo così’; il divieto di bere il vin brulè o di mangiare lo zabaione d’inverno, ‘perché era un atteggiamento da vecchi‘; di mettere il liquore nel gelato; di sedersi sul divano a sera a riposare mentre il marito lavava i piatti, unica attività domestica di cui si occupava perché non voleva acquistare una lavastoviglie”.

Erano presenti anche regole sull’abbigliamento: “il divieto di rimanere in pigiama, a casa, la domenica mattina”, come aveva riportato la donna durante il dibattimento: “Non potevamo stare in pigiama perché era segno di pigrizia“. Delle volte si finiva nell’assurdo: “Anche il modo in cui tagliava il pane o sbucciava il salame non era “consono”, perché foriero di sprechi; continui erano poi i riferimenti al fatto che era ‘grassa’, motivo per cui non poteva fare degli spuntini tra pranzo e cena”.

Così come “continue erano le correzioni, da parte dell’uomo, sul modo in cui parlava e sulla conoscenza della grammatica italiana”. Sempre emerso durante il processo: “Magari dicevo: ‘Mia sorella ha fatto questo, gli ho detto…’; “Ah, ‘Gli ho detto, perché tua sorella è diventata maschio?”. Era tutta una correzione, non andava bene niente“. E poi c’erano il tema finanziario: “Il budget di casa era deciso da lui, non si poteva sforare” e non c’era modo per sforarlo “a un tavolino dell’Ikea: avremmo sforato questo benedetto budget“. Anche se, “grazie ai loro stipendi, avevano una buona situazione economica e avevano messo da parte circa 50.000 euro”.

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Il Fatto Quotidiano

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