Spezia, Donadoni, la terza vita dell'Ancelotti mancato: l'errore da ct, i pennarelli di Buso, il no del Milan
- Postato il 5 novembre 2025
- Di Virgilio.it
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Di tutta la nidiata dei “figli di Sacchi” sembrava l’unico che – in piccola parte – potesse avvicinarsi alla carriera di Carlo Ancelotti che è stato il solo capace di superare il maestro di Fusignano: da Tassotti a Filippo Galli, da Gullit a Rijkaard e Costacurta ci hanno provato in tanti di quel Milan stellare a emergere anche in panchina ma solo Roberto Donadoni sembrava un predestinato come Re Carlo. Invece no. Anche lui, pittore geniale in campo, ha conosciuto più momenti bui che gioie, riservate solo alla prima parte della sua avventura da tecnico. Dopo cinque lunghi anni sabbatici Donadoni torna nella mischia, di lui si è ricordato lo Spezia, complice un vecchio legame con il presidente del club ligure Charlie Stillitano, che l’ex giocatore del Milan conobbe durante la sua esperienza da giocatore in Mls, nei New York Metrostars. La nuova scommessa è salvare la squadra ultima in classifica. Ma pur di ricominciare Donadoni sarebbe stato disposto a tutto.
L’avventura in Nazionale
La prima vita di Donadoni è felice. Gli esordi convincenti con Lecco, Genoa e Livorno poi il grande salto. Era probabilmente troppo presto per Donadoni diventare ct della Nazionale, per giunta quella del dopo-Lippi che aveva appena vinto il Mondiale in Germania, ma come si poteva dire di no? Sponsorizzato da Albertini, benvisto dalla Figc gli furono affidate le chiavi dell’Italia. Donadoni richiama Cassano e Panucci, rilancia Di Natale, fa esordire Quagliarella e Borriello. Agli Europei del 2008 viene eliminato ai rigori dalla Spagna ma paga soprattutto l’aver sconfessato tutto il suo progetto tattico nella partita decisiva, pressato in particolare dalla stampa romana.
La parentesi a Napoli
L’unica big allenata in carriera è stata il Napoli, che però non aveva ancora il rango attuale. De Laurentiis lo chiama dopo l’esonero di Reja su suggerimento di una zia di Bergamo. Il surreale passaggio di consegne arriva di giovedì: Reja osserva dall’alto di un terrazzino di Castelvolturno l’allenamento e si chiede “perché non fa fare la partitella?”. Donadoni ha metodi tutti suoi: interrompe gli allenamenti a ogni errore tattico fischiando e spiegando come andava svolta l’azione. Prova a insegnare come si battono le punizioni, segnando da tutte le posizioni, ma quella roba là o ce l’hai nei piedi o non si può insegnare. Lo assiste il fidato Buso, scomparso prematuramente, che durante le partite in tribuna porta un quadernone e tre pennarelli di colore diverso su cui annota tutto e riferisce ogni risvolto tattico nell’intervallo all’allenatore.
Illusorio l’avvio in azzurro: la critica lo osanna da subito (“già si vede la sua mano”) ma i risultati non arrivano. Il Napoli chiuderà alla fine al 12º posto con 46 punti, risultando la peggiore squadra del girone di ritorno a pari merito con il Lecce ultimo in classifica. Una sontuosa campagna acquisti (Quagliarella, Cigarini, De Sanctis, Campagnaro e Zuniga) fa ben sperare per l’anno dopo ma gli azzurri non decollano e Donadoni viene virtualmente esonerato dopo la sconfitta di Roma. L’ufficialità di De Laurentiis, paradossalmente, solo la settimana dopo nonostante il successo col Siena.
La parabola discendente
Da allora inizia una parabola discendente, una seconda vita da tecnico, nonostante i risultati non fossero negativi: fa bene a Cagliari, dove inizialmente confermato per la stagione 2011-2012, viene poi esonerato il 12 agosto per disaccordi con il presidente del club Massimo Cellino legati al mercato della società ed in particolare al mancato acquisto dal Catania del giocatore David Suazo. Va a Parma dove subentra a Colomba e porta la squadra all’ottavo posto. Nella stagione del 2013-2014 totalizza un punteggio di 58 punti, ottenendo il sesto posto ma l’accesso all’Europa League viene negato per problemi finanziari.
Nella stagione successiva il Parma non riesce a costruire una squadra all’altezza, termina il girone di andata con soli 9 punti e il 25 gennaio 2015 perde lo scontro diretto per 2-1 con il Cesena anch’esso a 9 punti, rimanendo così ultimo in classifica e virtualmente retrocesso. A fine stagione, il Parma non riesce a evitare la retrocessione e si classifica all’ultimo posto in campionato; Donadoni rimane svincolato, Va a Bologna, si salva ma viene ancora esonerato. Prova con l’estero, in Cina, con lo Shenzen, ma dopo due anni viene esonerato anche lì. Aspetta invano una chiamata dalla A ma passano gli anni e il telefono non squilla.
Il sogno Milan irrealizzato
Il suo sogno è sempre stato il Milan (“Ho pensato spesso a perché il Milan non cercasse anche me. Ci sono passati Leonardo, Inzaghi, Seedorf, Brocchi, Gattuso … Galliani diceva che era Berlusconi…“), ma di sicuro Donadoni ha pagato anche l’essere sempre stato anti-personaggio: silenzioso, schivo, nessun proclama, solo lavoro e serietà. Un lord della panchina in un mondo di egocentrici. Appuntava tutto sul suo quaderno nero, con i giocatori gli bastava uno sguardo per farsi rispettare, con i presidenti aveva però sempre scarso feeling perché non ne ha mai assecondato i capricci. Ha lanciato diversi giovani, si è rapportato sempre bene con i campioni che ha allenato (in Nazionale e a Napoli) ma non ha mai avuto altri sponsor fuorché se stesso. Da Spezia riparte la sua terza vita, a Thiago Motta e a Italiano questa piazza ha portato fortuna, chissà..