Spazio pubblico, così la città decide chi sei

  • Postato il 16 giugno 2025
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Il Quotidiano del Sud
Spazio pubblico, così la città decide chi sei

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Urbanistica e città. Dalle banche dati delle forze dell’ordine e delle società di sicurezza lo scenario sui controlli attraverso strutture e arredi urbani


«Lo spazio non è mai neutrale: è il luogo in cui il potere diventa visibile», scriveva Michel Foucault. Ed è nelle grandi città del mondo che questo potere si mostra con la massima chiarezza. Roma, Parigi, Londra, New York, Pechino, Tokyo, Brasilia, Delhi, Città del Messico: ogni metropoli, a modo suo, disegna lo spazio urbano non solo per facilitare la vita dei cittadini, ma per regolare chi può restare, chi deve passare, chi semplicemente scompare dallo sguardo.

ESTETICA, FUNZIONALITÀ E REGOLE


L’urbanistica non è mai solo una questione di estetica o di funzionalità. È una grammatica di regole implicite che disciplina comportamenti, filtra presenze, condiziona abitudini. La forma di una pensilina, l’altezza di un’aiuola o l’inclinazione di una panchina diventano strumenti per comunicare messaggi chiari: quanto puoi restare, come ti devi comportare, che tipo di cittadino sei. I governi urbani lo sanno, e lo mettono in pratica con strategie sempre più sofisticate. Una delle prime tattiche consiste nell’addomesticare l’attesa. Luoghi di transito, come le fermate dei bus o le piazzole nei parchi, possono diventare spazi di tensione se lasciati al caso.

FERMATE SMART A ROMA


A Roma, con il piano «Fermate Smart», sono state installate oltre quattrocento pensiline dotate di prese USB e schermi informativi: sapere quanti minuti mancano al prossimo autobus è un modo per raffreddare il malcontento. Delhi, invece, punta su un’accoglienza quasi rituale: millecinquecento nuove pensiline verranno presidiate da volontari chiamati “jaldoot” – messaggeri dell’acqua – con il compito di offrire ristoro durante le ore più calde. Invece a Tokyo, nel parco di Shinjuku, le sedute inclinate e la filodiffusione di Bach servono a scoraggiare le soste lunghe dei nottambuli, sostituendo il controllo esplicito della polizia con un’atmosfera rigidamente “gentile”.
Un altro principio guida è quello di riempire i vuoti prima che diventino problemi. Gli spazi dismessi, lasciati all’abbandono, sono percepiti come zone grigie, potenzialmente pericolose, difficili da governare.

MADE BUSH TERMINAL A BROOKLYN

A Brooklyn, nell’ex area industriale di Sunset Park, è sorto il campus “Made Bush Terminal”: 36 acri di laboratori creativi, vigilati 24 ore su 24, che hanno sostituito capannoni fatiscenti con un’architettura ordinata e produttiva. In Francia, l’ecodistretto dei Docks de Saint-Ouen ha sfruttato la scadenza dei Giochi Olimpici del 2024 per accelerare la riconversione urbana: cinquemila nuovi alloggi e uffici hanno preso il posto di depositi vuoti che alimentavano microcriminalità e traffici irregolari. Anche Città del Messico ha scelto di saturare i vuoti: nel centro storico, Calle Madero è stata pedonalizzata e riempita da un flusso continuo di duecentomila passanti l’ora, sostituendo i mercati informali con una sicurezza data semplicemente dalla densità umana.

RIGENERAZIONE E DECORO “OSTILE”


Ma quando rigenerare uno spazio è impossibile o troppo costoso, interviene la strategia più controversa: il cosiddetto decoro ostile. È l’urbanistica del disagio controllato. A Londra, il quartiere di Camden ha eliminato le zone di sosta usate dai senzatetto sostituendole con rastrelliere e panchine segmentate, troppo scomode per sdraiarsi. Tokyo ha sperimentato sedute metalliche che diventano roventi d’estate e gelide d’inverno. A Parigi, in vista delle Olimpiadi, sono comparsi braccioli e barriere floreali in ogni piazza, strumenti eleganti per dire “qui non si dorme”. La panchina non è più un invito alla sosta, ma un messaggio di sorveglianza. Lo stesso approccio si ritrova in quelle operazioni che mirano a “pulire la cartolina”.

BEAUTIFICATION WALLS DI DELHI

A Delhi, per il G20, chilometri di “beautification walls” hanno oscurato insediamenti informali lungo i percorsi delle delegazioni. La logica è semplice: ciò che non si vede, non esiste. Roma ha scelto una linea simile con ordinanze che vietano di mangiare o sedersi sulle fontane storiche, pena una multa salata: un modo per impedire lo stazionamento, soprattutto di chi non è turista. A Brasília, durante cortei o comizi, l’Esplanada dos Ministérios viene chiusa da transenne mobili e cordoni di polizia, cancellando visivamente ogni forma di protesta. Non si reprime direttamente, si toglie la protesta dallo sfondo, la si rende irrilevante sul piano dell’immagine.
Non tutto, però, si muove lungo la linea del controllo duro.

CONTROLLO GENTILE, IL NUDGING URBANO


Esiste anche una forma di controllo gentile, apparentemente neutro, tecnologico. È il nudging urbano, cioè la spinta comportamentale. A Seul, strisce LED incastonate nell’asfalto si accendono di rosso se il pedone sta guardando il telefono mentre attraversa, inducendolo a fermarsi senza bisogno di un fischietto. Mentre a Utrecht, i semafori intelligenti riconoscono le carrozzine e allungano automaticamente il tempo del verde. Intanto a New York, sensori posizionati attorno a Times Square modulano la durata dell’attraversamento in base alla velocità del gruppo. Nessun cartello, nessuna multa: solo una serie di piccoli incentivi nascosti che guidano il comportamento in tempo reale.
Tutte queste strategie non agiscono più solo sull’oggi, ma anticipano il futuro. Si affermano forme di comfort controllato: sedute comode ma non troppo, wi-fi pubblico che scade dopo un certo tempo, luci blu nei sottopassaggi per scoraggiare il bivacco notturno.

GENTRIFICAZIONE PREVENTIVA

La gentrificazione diventa preventiva, come a Sunset Park o a Saint-Ouen, dove si rigenera prima ancora che l’area degradi. Le regole diventano mobili, stagionali, effimere: un’ordinanza che vieta il picnic oggi può sparire domani, senza lasciare traccia né appigli legali. E soprattutto si afferma un’estetica-schermo: quinte vegetali, pannelli a LED, strutture reversibili che servono a cancellare l’invisibile, più che a mostrarlo. Dietro tutto questo c’è un’intelligenza artificiale diffusa che regola flussi, microclima, illuminazione, in base ai dati in tempo reale. In fondo, dal bracciolo in più su una panchina alla demolizione di un intero villaggio migrante, l’urbanistica contemporanea produce una grammatica di comandi sottili. Decide chi può sostare, chi deve muoversi, chi ha diritto a essere visibile

. Non si tratta di demonizzare ogni forma di ordine – i marciapiedi hanno bisogno di regole – ma di pretendere trasparenza. È lecito chiedere quanti centimetri misura un divisorio anti-bivacco, quante licenze ambulanti tollera un viale monumentale, quali quartieri vengono recintati durante un summit. Finché questi criteri restano impliciti, l’urbanistica sarà solo uno strumento di disciplinamento. Ma se vengono messi a disposizione di tutti, possono diventare il punto di partenza per riscrivere collettivamente il significato stesso di spazio pubblico.

ALGORITMI, OCCHI DIGITALI E FUTURO DEL CONTROLLO URBANO

«Non basta più vedere, occorre pre-vedere», dice il responsabile del centro di comando di Città del Messico, indicando il maxi-schermo del C5 (Centro de Comando, Control, Cómputo, Comunicaciones y Contacto Ciudadano, una delle più grandi centrali operative di sorveglianza urbana al mondo): una sala operativa connessa a oltre 58.000 telecamere sparse per la metropoli. In quella frase si condensa un’intera filosofia di governo urbano: la videosorveglianza non serve più solo a registrare quello che accade, ma a intuire ciò che potrebbe accadere. L’obiettivo, ormai, è intercettare l’anomalia prima che si trasformi in emergenza. E se questo cambiamento riguarda tutte le grandi città del mondo, ognuna lo interpreta a modo suo. Londra rimane la regina indiscussa del circuito chiuso: tra pubblico e privato, si stima che circolino più di 900.000 telecamere.

LIVE FACIAL RECOGNITION

Ma la svolta recente è il Live Facial Recognition, una tecnologia sperimentata dalla polizia metropolitana che incrocia in tempo reale i volti ripresi con banche dati di persone ricercate. A Parigi, un’autorizzazione temporanea contenuta nella legge 2023-240 permette di usare l’intelligenza artificiale per identificare “comportamenti anomali” nella metro e negli stadi olimpici fino al marzo 2025. A New York, il sistema chiamato Domain Awareness System collega diciottomila telecamere con database giudiziari, targhe automobilistiche, mandati di cattura. Pechino va oltre: i progetti “Skynet” e “Sharp Eyes” non si limitano a osservare ma mirano alla copertura totale dello spazio pubblico, integrando il volto, il tragitto e perfino l’intenzione. Qui la sorveglianza non fotografa il crimine: lo calcola.

SICUREZZA, MA ANCHE AMBIENTE, MOBILITÀ E SERVIZI


Questi occhi digitali non servono solo alla sicurezza. In molte città, fanno anche da strumenti per gestire in diretta la mobilità, l’ambiente, i servizi. A Londra, le telecamere Anpr – capaci di leggere le targhe – alimentano la zona a traffico limitato Ulez. Servono a far scattare multe, certo, ma anche a regolare i semafori in base al flusso veicolare.

I SENSORI DI PARIGI

A Parigi, migliaia di sensori registrano i livelli di rumore e di biossido di azoto, inviando dati a una rete di pannelli “AirParif” che consente di modulare la circolazione nei giorni critici. A Brasília, oltre mille telecamere sono sincronizzate con i rilevatori di pressione dell’acquedotto: quando la portata cala, si attiva automaticamente un allarme per furti d’acqua.

A Delhi, il badge FastTag – pensato per i pedaggi – fornisce alla polizia, su richiesta, la posizione dei veicoli che attraversano la Ring Road. L’infrastruttura di mobilità si trasforma, senza costi aggiuntivi, in una rete investigativa.Ma se le telecamere sono ovunque, non tutto viene osservato con lo stesso rigore. Le mappe di densità mostrano una distribuzione diseguale: i quartieri centrali e turistici sono saturi di sensori, quelli periferici e popolari restano parzialmente ciechi.

RICONOSCIMENTO FACCIALE

A Roma, il Garante per la Privacy ha bloccato i progetti di riconoscimento facciale promossi da alcuni municipi, ma le Ztl storiche continuano a essere controllate in tempo reale. A Pechino, i vicoli demoliti lungo la Quinta Tangenziale hanno lasciato vuoti dove la rete Sharp Eyes si dirada. Sui mezzi pubblici, invece, il passaggio facciale è obbligatorio. A Londra, il sistema Anpr è pienamente operativo nella zona a pedaggio del centro, ma in sobborghi come Barking – segnati da tassi elevati di criminalità – le unità mobili di videosorveglianza si attivano spesso solo a fatto avvenuto. È una topografia selettiva, che somiglia sorprendentemente a quella rappresentata nella serie Lupin, dove il protagonista si muove nei corridoi ciechi tra due “cupole video” per sfuggire alla cattura: la finzione si limita a copiare ciò che già esiste.

RETE, VULNERABILITÀ E PALETTI NORMATIVI


Eppure, più cresce la rete, più cresce anche la sua vulnerabilità. Ogni sistema può essere aggirato, e le sue falle sono un’opportunità per chi le conosce. Nel gennaio 2017 un ransomware ha spento per tre giorni 123 telecamere pubbliche a Washington, proprio durante l’insediamento di Donald Trump nel suo primo mandato. Nel 2021 un attacco informatico ha colpito il centro C5 di Città del Messico, sottraendo oltre 300 gigabyte di filmati. Non si tratta di casi isolati: più i sistemi diventano sofisticati, più diventano bersagli. Bastano pochi minuti di blackout – o una manomissione volontaria – per creare un buco visivo che può essere usato per colpire. È una delle grandi contraddizioni del presente: ci vogliono risorse da Stato per installare 50.000 telecamere, ma può bastare un laptop mal protetto per spegnerle tutte.

VINCOLI NORMATIVI


Anche i vincoli normativi sono tutt’altro che uniformi. In Europa il Gdpr, Regolamento Generale sulla Protezione dei Dati, impone valutazioni d’impatto per ogni sistema: a Londra i video vengono cancellati dopo 31 giorni, a Parigi dopo 30, salvo proroghe in caso di indagine. Negli Stati Uniti manca una legge federale: il Nypd conserva le immagini del Das per un mese, ma le registrazioni delle body-cam restano attive fino a diciotto mesi. A Pechino non esistono limiti di archiviazione: ogni fotogramma può essere usato per alimentare gli algoritmi. A Delhi si sta progettando una banca dati biometrica – il “Crime Kundli” – che raccoglierà i profili di oltre trecentomila sospetti, senza un’autorità indipendente di controllo.

GEOGRAFIA VARIABILE DELLA PRIVACY

Il risultato è una geografia variabile della privacy: lo stesso volto, a distanza di poche ore di volo, può essere cancellato o schedato per sempre.
Intanto, le città si trasformano in veri e propri organismi sensoriali. A Seul, le strisce Led installate sull’asfalto si illuminano quando un pedone guarda il telefono, riducendo il rischio di incidenti. I semafori, i badge digitali, i pannelli smart non servono solo a snellire i servizi, ma costruiscono uno spazio in cui ogni gesto viene potenzialmente tracciato, interpretato, archiviato. Promettono sicurezza, fluidità, ordine. E in molti casi lo garantiscono davvero: nessuno rimpiange gli autobus in ritardo, le strade congestionate, le emergenze mal gestite.

COSTI, VISIBILITÀ E BUCHI NERI


Ma ogni beneficio ha un costo implicito: un flusso continuo di immagini, dati, movimenti che viene raccolto spesso senza che i cittadini sappiano dove finisca. La vera domanda, allora, non è se rinunciare o no alla sorveglianza.
Vivere in una metropoli oggi implica accettare un certo grado di visibilità. La questione è chi decide chi guarda. A quali condizioni, per quanto tempo, con quali controlli. Invece di moltiplicare telecamere, forse sarebbe il momento di moltiplicare regole: sapere chi ha accesso ai dati, come vengono trattati, quando vengono cancellati. Sapere se esistono – e dove – dei “buchi neri” nella rete, creati per comodità, per economia o per strategia. In altre parole: non solo più occhi, ma più controllo sugli occhi.

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