Spagna, la Catalogna torna a sfidare il mercato immobiliare: nuova stretta sugli affitti turistici mascherati

  • Postato il 21 dicembre 2025
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La Catalogna torna a sfidare il mercato immobiliare – e indirettamente anche il Tribunale Costituzionale spagnolo – approvando una nuova legge che estende il controllo dei prezzi agli affitti temporanei (di durata inferiore all’anno) e alle stanze. Una mossa politica e sociale forte, in un contesto di emergenza abitativa senza precedenti, che ha riportato la casa al primo posto tra le preoccupazioni dei cittadini catalani secondo le statistiche ufficiali.

Il Parlamento catalano ha dato il via libera alla Legge sulle misure in materia di abitazione e urbanistica, approvata con i voti dei socialisti del PSC, gli indipendentisti di ERC e CUP, e la sinistra dei Comuns. La norma equipara gli affitti temporanei e quelli per singole stanze agli affitti residenziali ordinari, imponendo anche a queste tipologie il rispetto dell’indice ufficiale dei prezzi, l’equo canone imposto per legge dal governo Sanchez. Una risposta diretta a un fenomeno che ha progressivamente svuotato di efficacia la regolazione: nelle grandi città, Barcellona in testa, migliaia di proprietari hanno riconvertito i contratti ordinari in affitti di breve durata per aggirare i tetti imposti dalla legge.

I numeri spiegano la portata del problema. Secondo dati ufficiali, il 26% dei nuovi contratti firmati a Barcellona è oggi un affitto temporaneo, spesso usato non per reali esigenze transitorie ma come strumento speculativo per aggirare la legge nazionale. Nel caso delle stanze, la situazione è ancora più estrema: la somma degli affitti richiesti può arrivare a triplicare il prezzo medio degli affitti della città (attorno ai 1200 euro). Con la nuova legge, la somma dei prezzi delle stanze non potrà superare il limite massimo previsto dall’indice dell’equo canone nazionale.

La normativa impone inoltre maggiore trasparenza: i contratti dovranno indicare la motivazione della temporaneità (studio o lavoro) e la residenza abituale dell’inquilino. Restano esclusi dal controllo solo gli affitti turistici e ricreativi. Parallelamente, il Parlamento ha prorogato la protezione delle abitazioni VPO (edilizia residenziale pubblica) nei comuni considerati “zone di mercato teso”. Senza questo intervento, solo a Barcellona circa 40.000 alloggi perderebbero lo status di edilizia sociale entro il 2030.

La legge rafforza anche il sistema dei controlli, affidando a Comuni e Generalitat nuovi strumenti di vigilanza. I proprietari saranno obbligati a dichiarare il tipo di contratto, il canone applicato e la durata dell’affitto nei registri ufficiali, incrociando i dati con il catasto e con il Registro dei grandi proprietari e degli alloggi vuoti. I municipi potranno avviare ispezioni d’ufficio per verificare che gli affitti temporanei rispettino i requisiti di legge e che non vengano usati in modo fraudolento per eludere il blocco ai prezzi. In caso di irregolarità sono previste sanzioni economiche progressive, fino a multe rilevanti per i grandi proprietari recidivi, e la possibilità di obbligare alla riconversione del contratto in affitto residenziale ordinario. Un impianto di controllo che punta a superare l’inefficacia delle norme precedenti, spesso vanificate dall’assenza di verifiche e dall’asimmetria di potere tra inquilini e locatori.

La consigliera al Territorio e all’Abitazione Sílvia Paneque ha difeso l’intervento come una scelta di coesione sociale: “La casa deve essere un diritto, non una fonte di angoscia”. Un messaggio condiviso dai movimenti per il diritto all’abitare, dal Sindacato degli Inquilini alla PAH, che da anni denunciano l’impatto sociale dell’esplosione degli affitti brevi. Ma la partita non è solo sociale: è anche giuridica e politica. Il Partito Popolare ha già annunciato un ricorso al Tribunale Costituzionale, sostenendo che la Catalogna non abbia competenza in materia e parlando di “espropriazione mascherata”. Una linea già vista in passato. Nel 2020 la Catalogna aveva approvato una prima legge pionieristica sul controllo degli affitti, che fissava tetti ai canoni nelle aree più colpite dalla speculazione. Una norma salutata come modello in Europa, ma smantellata nel 2022 dal Costituzionale spagnolo, che ne annullò le parti centrali sostenendo che invadevano competenze statali.

Quella sentenza provocò un immediato aumento dei canoni e rafforzò la convinzione, nei movimenti sociali, che senza strumenti di regolazione il mercato non fosse in grado di garantire l’accesso alla casa. Non a caso, durante la successiva discussione della legge statale sulla casa, gli attivisti avevano avvertito del rischio di una fuga verso gli affitti temporanei: una previsione che oggi trova conferma nei dati. La nuova legge catalana prova quindi a chiudere quella falla, ampliando anche il ruolo pubblico: più fondi per l’edilizia sociale, maggiori quote obbligatorie nei nuovi quartieri, estensione del diritto di prelazione e creazione di registri dei grandi proprietari e delle abitazioni vuote, con sanzioni per chi non si adegua. Resta da vedere se questa nuova offensiva normativa resisterà all’ennesima prova del Tribunale Costituzionale. Ma una cosa è certa: in Catalogna la questione abitativa non è più solo una politica pubblica. È diventata un terreno di scontro istituzionale.

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