“Sono morto per 10 minuti, i medici mi chiamano ‘l’uomo del miracolo’. È stato un viaggio pazzesco”: la storia di Matthew Allick

  • Postato il 12 agosto 2025
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Non c’erano tunnel di luce, né voci dall’aldilà. Solo un sonno profondo e pacifico. È così che Matthew Allick, un attore e operatore di teleassistenza di 42 anni, descrive la sua esperienza di morte clinica, durata una decina minuti. Sopravvissuto a un arresto cardiaco causato da una massiccia embolia polmonare, ha deciso di raccontare la sua storia, un “viaggio pazzesco” che lo ha portato a dover imparare di nuovo a camminare, a parlare e persino a riconoscere i colori, con un nuovo, potente obiettivo: sensibilizzare sull’importanza della donazione di sangue.

Tutto è iniziato alla fine di agosto del 2023. Matthew, all’epoca 40enne, in forma e abituato ad andare in palestra, ha cominciato a notare piedi gonfi e una crescente mancanza di respiro. “Li ho ignorati”, ha raccontato. “Li ho attribuiti ai turni di notte al lavoro, pensando di non muovermi abbastanza”. Ma i sintomi peggioravano: “Anche solo alzandomi troppo in fretta, mi sentivo come se avessi appena fatto uno scatto”. Il punto di non ritorno è arrivato un sabato al lavoro. “Un amico mi ha detto: ‘Andiamo a vedere la nuova macchina del caffè al piano di sopra’. Ricordo di aver provato a fare un solo passo e di aver pensato: ‘Non posso salire queste scale’. Ho detto al mio amico: ‘Devi chiamare un’ambulanza’”.

Trasportato all’Hammersmith Hospital di Londra, la situazione è precipitata. Un medico gli ha chiesto di valutare il suo dolore su una scala da uno a dieci. “Gli ho detto che prima era zero, ma improvvisamente era diventato undici su dieci. Lui ha detto che non poteva essere undici, e io ho risposto: ‘Ora è un tredici’. E poi sono crollato morto. Non avevo polso, né battito cardiaco. Niente”. È iniziata una lotta disperata per la sua vita. I medici hanno usato un defibrillatore e praticato una rianimazione cardiopolmonare così aggressiva da causargli un’emorragia interna. Dopo essere stato rianimato, è stato posto in coma farmacologico per tre giorni. Le scansioni hanno rivelato la causa: trombi “grandi come una palla da cricket” sul cuore e sui polmoni. I medici avevano avvertito la famiglia che, se si fosse mai svegliato, avrebbe potuto riportare danni cerebrali permanenti a causa della prolungata assenza di ossigeno al cervello.

Ma quando Matthew si è svegliato, era pienamente cosciente, pur con gravi problemi di memoria: “All’inizio non potevo muovermi, temevo di essere paralizzato. Poi, lentamente, ho ricominciato a sentire le dita dei piedi e delle mani”. La sua memoria a breve termine era compromessa: “Riconoscevo i volti ma non ricordavo i nomi, e non riconoscevo i colori. Mio fratello mi ha portato un’arancia e ho chiesto: che colore è?”. Ma, con l’aiuto della famiglia, che gli faceva recitare le battute dei film, ha piano piano recuperato i ricordi. Ha dovuto reimparare a sedersi, a camminare, a controllare la vescica. Un “viaggio pazzesco”, come lo definisce lui.

In ospedale, medici e infermieri lo chiamavano “l’uomo del miracolo”. “Mi è stato detto che solo il cinque per cento delle persone sopravvive a quello che ho passato io“. Scampato alla morte, ha scoperto il ruolo cruciale delle trasfusioni nel suo salvataggio e ha deciso di lanciare un appello: “Senza le trasfusioni di sangue non sarei qui oggi. La decisione di qualcuno di donare il sangue mi ha salvato la vita. Questo è ciò che voglio che più persone capiscano”. Il suo appello è rivolto in particolare alla comunità di origine africana e caraibica. L’NHS (il servizio sanitario britannico) ha confermato che, per pazienti come lui, ricevere sangue etnicamente compatibile può migliorare le possibilità di recupero.

Oggi Matthew si sente “al 75% della normalità”. È in terapia anticoagulante a vita e a volte ha dolori al petto che lo spaventano. Ma è soprattutto grato: “I miei amici, la mia famiglia, i miei figli e la mia allora fidanzata si sono presentati per me ogni giorno. Mi ha fatto davvero capire quanto sono fortunato ad essere vivo”.

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