“Sono l’uomo più fortunato del mondo, ma ho perso tutto. Non parlo più con mia moglie, né con mio figlio: soffro e basta”. Il dramma dell’unico sopravvissuto al disastro aereo Air India
- Postato il 3 novembre 2025
- World News
- Di Il Fatto Quotidiano
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“Mi piace stare da solo in casa. Mi siedo nella mia stanza da solo, non parlo con mia moglie, né con mio figlio”. Sono le parole cariche di dolore di Viswashkumar Ramesh, l’unico sopravvissuto al disastro aereo dell’Air India che, lo scorso 12 giugno, ha causato la morte di 249 persone. Tornato a vivere nella sua casa di Leicester, in Inghilterra, il 39enne ha parlato per la prima volta alla stampa britannica, in un’intervista alla Bbc, raccontando l’incubo psicologico che sta vivendo, diviso tra il “miracolo” della sua sopravvivenza e il peso insopportabile della tragedia vissuta, in cui è morto anche suo fratello.
Ricordiamo in breve i fatti: il 12 giugno 2025, un volo Air India diretto a Londra precipitò pochi istanti dopo il decollo da Ahmedabad. Il Boeing 787 Dreamliner, a causa di un’interruzione del flusso di carburante ai motori (come emerso da un rapporto preliminare), si schiantò su uno studentato medico in un’area densamente popolata. Morirono 241 persone a bordo e altre 19 a terra. Le immagini che fecero il giro del mondo in quei giorni mostravano una scena quasi surreale: Viswashkumar Ramesh che camminava via dalle lamiere in fiamme, apparentemente solo con ferite superficiali.
Oggi, a distanza di mesi, quell’uomo, definito “il più fortunato del mondo“, racconta cosa vuol dire realmente sopravvivere a un disastro di tale portata, sottolineando come per lui la fortuna sia in realtà un fardello pesante. “Sono l’unico sopravvissuto. Ancora non ci credo. È un miracolo”, ha detto, con la voce rotta dall’emozione. Un miracolo che ha avuto un prezzo altissimo: “Ho perso anche mio fratello. Mio fratello era la mia spina dorsale. Negli ultimi anni mi ha sempre sostenuto”. L’incidente ha devastato la sua vita familiare e mentale. “Ora sono solo”, ha ripetuto.
Gli è stato diagnosticato un disturbo da stress post-traumatico (PTSD) mentre era ancora in ospedale in India. Da quando è tornato nel Regno Unito, raccontano i suoi consulenti, non ha ancora ricevuto alcun trattamento medico: “Non riesco a parlare molto. Ci penso tutta la notte, soffro mentalmente. Ogni giorno è doloroso per l’intera famiglia”. Anche le ferite fisiche, inizialmente sottovalutate, sono in realtà gravi: soffre di dolori a gamba, spalla, ginocchio e schiena. Non può lavorare né guidare: “Quando cammino, non cammino correttamente, [vado] lentamente, lentamente. Mia moglie mi aiuta”. Ramesh è assistito da un portavoce, Radd Seiger, e da un leader della comunità locale, Sanjiv Patel, che descrivono un uomo “perso e distrutto”, la cui famiglia è “in crisi, mentalmente, fisicamente e finanziariamente” perché in questa situazione l’azienda di pesca di famiglia, che gestiva con il fratello in India, è fallita.
Da qui le accuse contro Air India: “È spaventoso che oggi siamo costretti a sederci qui e a fargli passare tutto questo”, ha dichiarato il portavoce Seiger. “Le persone che dovrebbero essere sedute qui oggi sono i dirigenti di Air India, le persone responsabili di cercare di sistemare le cose”. Seiger sostiene infatti che la compagnia aerea abbia liquidato in fretta la questione: Air India ha offerto all’uomo un risarcimento provvisorio di 21.500 sterline, che è stato accettato, ma che i consulenti ritengono insufficiente a coprire i bisogni immediati. “Abbiamo invitato Air India a un incontro in tre occasioni, e tutte e tre sono state ignorate o respinte”. L’intervista alla Bbc, spiegano, è il loro quarto appello pubblico: “Per favore, venite a sedervi con noi per cercare di alleviare parte di questa sofferenza“. Dal canto suo la compagnia, di proprietà del gruppo Tata, ha replicato alla Bbc affermando che “un’offerta è stata fatta ai rappresentanti di Ramesh per organizzare tale incontro” e che “continueranno a contattarli”, sperando in una “risposta positiva”.
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