Sinner italiano e il genovese che diventò Gran Visir cantato da De Andre, identità e tradizione, il doppio in noi
- Postato il 27 luglio 2025
- Politica
- Di Blitz
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Quando Jannik Sinner dice: “Io sono italiano” conferma la doppia identità che è in tutti noi. Quella della nostra origine etnica, alimentata da dialetto, cucina, sangue, religione. E quella della nostra appartenenza nazionale, una entità superiore che unisce e amalgama le provenienze.
il passaporto ha un valore relativo. Pensate a quei dirigenti comunisti col passaporto sovietico eppure sinceri italiani tanto da evitare che l’Italia diventasse come la Jugoslavia. O a Elly Schlein che di passaporti ne ha 3.
Così gli italiani in America o in Australia, così i milioni di immigrati che suppliscono alla nostra idiosincrasia per il lavoro manuale e ci fanno star bene.
Così commuove un video su Tib tok in cui si vede uno stadio pieno di gente in piedi che canta l’inno nazionale italiano e sventola il tricolore.
L’inno nazionale lo ha scritto Goffredo Mameli due secoli fa. È morto a Roma nel 1849 con Mazzini, Garibaldi e la Repubblica Romana.
Era nato a Genova 22 anni prima. Il padre era sardo, ammiraglio del regno sabaudo che dal congresso di Vienna aveva unito Piemonte Liguria e Sardegna.
In quello stadio 50.000 italiani cantavano, chissà da quale città venivano. Cantava commosso il presidente della Repubblica Mattarella, siciliano.
Da Sinner a Mattarella

Quale esempio più bello e commovente di cosa vuol dire essere italiani uniti dalla stessa bandiera dalla stessa lingua della stessa canzone, eppure divisi dalle diverse origini nei millenni e nei tempi recenti?
Un caso contrario è quello cantato da Fabrizio De Andre in un pezzo dell’album Creuza de ma. La canzone, in lingua genovese, si intitola “Sinán Capudán Pasciá”.
Narratore è un personaggio storico, Scipione Cicala. I Cicala erano una nobile famiglia genovese, scesi in Italia dalla Baviera nell’832. Insediatisi nel cuore della città, avevano esteso le loro proprietà fino in Calabria e in Sicilia.
Il loro palazzo, a Genova, di fronte alla cattedrale di San Lorenzo, è oggi una casa vacanza.
A Roma un intero isolato a Trastevere è occupato da un complesso di abitazioni, chiostro meraviglioso e chiesa di San Giovanni dei genovesi costruiti 500 anni fa grazie ai fondi lasciati da Meliaduce Cicala, prima corsaro poi amministratore del tesoro pontificio: mori a Roma, costruì a Trastevere, pensava ai marinai genovesi preda delle tentazioni del porto della città eterna.
Da Cicala a Sinan Pascià
Diverso il percorso del protagonista della canzone di De Andre, Scipione Cicala (Messina, 1545-1552 – Diyarbakir, 1605), nella definizione di Wikipedia corsaro, condottiero e navigatore ottomano di origine italiana.
Canta De Andre:
A memöia do Çigä
ma ‘nsci libbri de stöia
Sinán Capudán Pasciá.
E digghe a chi me ciamma rénegôu
che a tûtte ë ricchesse a l’argentu e l’öu
Sinán gh’a lasciòu de luxî ao so
giastemmandu Mumä ao posto do Segno
(Tradotto: questa è la memoria
la memoria del Cicala
ma sui libri di storia
Sinán Capudán Pasciá.
Digli a chi mi chiama rinnegato
che a tutte le ricchezze all’argento e all’oro Sinán ha concesso di luccicare al sole bestemmiando Maometto al posto del Signore).
Suo padre, il visconte Vincenzo Cicala, fu un capitano di origine genovese agli ordini di Andrea d’Oria, mentre la madre sarebbe stata forse una musulmana montenegrina di Castelnuovo.
Il visconte e suo figlio furono presi prigionieri dalla marina Ottomana nel 1560 presso le isole Egadi navigando dalla Sicilia alla Spagna, e furono portati prima a Tripoli e poi a Istanbul.
Il padre pagò il riscatto e fu liberato. Il figlio Scipione, invece, non fu liberato e gli fu posta l’alternativa di essere messo a morte (o più verosimilmente di essere utilizzato come schiavo sulle galere), oppure di convertirsi ed entrare nel corpo dei Giannizzeri. Scipione Cicala abiurò quindi il Cristianesimo, abbracciò l’Islam ed entrò nel famoso corpo militare ottomano.
Dopo l’addestramento al servizio dell’Impero, Scipione Cicala fu adibito al Palazzo Imperiale, raggiungendo in breve tempo il rango di silahtar. Per qualche tempo si vociferò che alla rapidissima ascesa del convertito genovese non fosse estranea la sua straordinaria bellezza, che aveva “fatto colpo” sull’imperatore Solimano il Magnifico. Certo è che il successore di Solimano, Selim II, lo ebbe in grazia, concedendogli come spose due sue nipoti (la prima nel 1573 e la seconda nel 1576); si trovò a godere di grande ricchezza e di incarichi di prestigio.
Nel 1575 divenne ağa dei Giannizzeri, mantenendo tale carica fino al 1578. In seguito svolse servizio attivo nella lunga guerra tra l’Impero Ottomano e la Persia (1578-1590). Fu nominato beylerbey (governatore generale) di Van nel 1583 e, nello stesso anno, assunse il comando della grande fortezza strategica di Erevan, in Armenia, che gli comportò la nomina a Visir. Nel 1586viene nominato beylerbey di Bayazıt e combatte con successo nella Persia occidentale durante gli ultimi anni della guerra, conquistando le città di Nihavand e Hamadan e facendole annettere all’Impero Ottomano.
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