Sicurezza digitale: al mercato nero dei dati riservati

Sicurezza digitale: al mercato nero dei dati riservati



Da Napoli a Bolzano passando per Cosenza e Palermo, la vicenda degli accessi abusivi alle super banche dati scoperta a Perugia sta portando a galla un «sistema» costellato da tanti episodi analoghi. E dove lo schema è sempre lo stesso. Con dipendenti pubblici che, in cambio di denaro, «aggiustano» dichiarazioni dei redditi o spiano personaggi.


più o meno conosciuti.Nei corridoi romani della Procura nazionale antimafia si racconta che quando a Perugia è saltata fuori la storiaccia degli accessi abusivi alle super banche dati, compresa quella delle Sos, le Segnalazioni di operazioni sospette provenienti dai sistemi antiriciclaggio degli istituti di credito, il capo dell’ufficio Giovanni Melillo abbia chiesto di ricevere velocemente sulla sua scrivania una statistica interna: una voce unica, riportante il numero dei procedimenti in corso per il reato di accesso abusivo a un sistema informatico.

La relazione, con oltre un migliaio di numeri di «Rg», quelli che in slang giudiziario indicano le iscrizioni nel Registro generale in cui le Procure annotano le notizie di reato, ha subito fornito la fotografia di un fenomeno per nulla circoscritto agli uffici in cui fino a qualche tempo fa operavano il sostituto procuratore nazionale antimafia Antonio Laudati (nel frattempo andato in pensione) e il luogotenente della Guardia di finanza Pasquale Striano (trasferito a ruoli non operativi), ovvero i principali indagati del procedimento perugino. Nel migliaio di fascicoli ce ne sono alcuni che, seppure senza aver prodotto clamori, appaiono come tanti capitoli di un’unica sceneggiatura da spy story. Con i loro protagonisti, quasi sempre funzionari pubblici, e le scene, anche quelle da romanzo, ricche di dettagli.

Se non fosse per il linguaggio da caserma con cui sono stati scritti gli atti, il lettore si sentirebbe proiettato in una delle tante storie di Ian Fleming, l’inventore di James Bond. Una delle investigazioni, per esempio, ricostruisce alcuni incontri in un elegante ristorante del centro di Roma, dove un uomo in abito scuro, un funzionario dell’Agenzia delle entrate, si siede a un tavolo riservato. Di fronte a lui c’è un consulente contabile che sta raccontando con fervore le sue preoccupazioni per una pratica fiscale urgente. La cena è costellata da scambi nervosi di informazioni. Il funzionario, con un sorriso complice, a un certo punto, accetta un pacchetto di denaro come compenso per «un piccolo favore». La telecamera degli inquirenti si sposta in un ufficio operativo dell’Agenzia delle entrate. I tre funzionari coinvolti (ma gli indagati sono in tutto 30) sono al lavoro. Mentre le loro mani si muovono sulle tastiere, i microfoni usati per le intercettazioni captano il frenetico ticchettio.

Ma non solo. Gli accessi alle banche dati sono accompagnati da conversazioni allarmanti: «Te ti rendi conto? Con tutto il lavoro che ho non riesco neanche a gestire i caz... miei». Un carico di lavoro extra che è stato descritto in questo modo: «Un sacco di pratiche, un sacco di gente che mi deve pagare e che ancora non mi paga (…) Ti rendi conto? Cioè ti rendi conto che situazione? Con tutto che lavoro tutto il giorno». Ma prima non era così: «Un tempo, afferma candidamente il funzionario, lavoravo solo le cose mie e lasciavo da parte quelle dell’Ufficio». Dichiarazioni dei redditi e successioni fruttavano tra i cento e i mille euro.

I documenti riservati e i trasferimenti di denaro rivelano un quadro inquietante in cui viene ipotizzata la corruzione. Con uno dei funzionari che al telefono, per incrementare il suo «appeal» con il commercialista pronto a pagare, millantava addirittura di aver taroccato, per 20 mila euro, la dichiarazione dei redditi di Gigi D’Alessio (che l’ha querelato). Stando alle accuse, gli indagati si sarebbero avvalsi in modo abusivo dei sistemi informatici e telematici dell’Anagrafe tributaria in dotazione all’Agenzia delle entrate per ricavare le informazioni-chiave e chiudere in questo modo le pratiche relative ad accertamenti fiscali: lo scopo finale era quello di ottenere l’abbattimento totale o la sensibile riduzione delle somme di denaro richieste dal fisco.

Più o meno l’inchiesta romana ricalca una storia svelata qualche settimana fa da Panorama, il cui protagonista, funzionario dell’ufficio dell’Area riscossione di Napoli, nel frattempo è stato condannato a otto mesi di reclusione. Aveva spiato, insieme con altri funzionari (come avevano scoperto gli ispettori della Direzione generale), 15 mila utenti, tra i quali Giovanni Terzi, il marito di Simona Ventura, e un medico, Franco Spedale, che l’ha denunciato. L’indagine della Procura guidata da Nicola Gratteri, però, si è fermata al primo stadio, nonostante fossero emerse triangolazioni con un’agenzia romana che offre servizi agli avvocati, tra i quali le dichiarazioni dei redditi di ignari contribuenti. E non solo. «Probabilmente», è scritto nella sentenza, «il funzionario deve far parte di una più ampia rete di dipendenti dell’Agenzia delle entrate compiacenti e pronti a fornire dati riservati su richiesta». Tuttavia, spiegano i giudici, «non è stato possibile stabilire il canale di collegamento».

A Cosenza, per informazioni dello stesso tipo, in un cupo magazzino alla periferia della città era stata creata addirittura una centrale illecita, con tanto di scatole di documenti e computer portatili disposti ordinatamente. Qui sarebbero stati immagazzinati migliaia di elementi sensibili ottenuti dalle banche dati alle quali avevano accesso, secondo la ricostruzione dei magistrati della Procura di Catanzaro guidata dal «facente funzioni» Vincenzo Capomolla, alcuni sottufficiali della Guardia di finanza indagati. L’azienda informatica, stando all’ipotesi dell’accusa, avrebbe triplicato il fatturato, offrendo «merce» pregiata per avvocati e consulenti. Perfino i server dell’Inps sono risultati molto appetibili.

A Palermo, per esempio, un’inchiesta ha svelato che due funzionari avrebbero venduto dati riservati a società di recupero crediti. Si parla di seimila accessi abusivi per recuperare dati legati a circa 800 nominativi. «Ti mando l’estratto conto camuffato», diceva uno dei funzionari indagati. Con quei dati le società di recupero andavano a colpo sicuro con i pignoramenti. Sempre negli uffici dell’Inps, stavolta a Bolzano, due funzionari sono finiti nei guai per aver diffuso, convinti di mettere a segno un’azione di interesse pubblico, i nomi di quattro consiglieri provinciali che durante il periodo pandemico avevano percepito un’indennità di 600 euro.

«C’è un vero mercato di dati riservati» afferma il procuratore nazionale antimafia Melillo. «Le inchieste si sono concluse con l’“acquisita prova” del singolo accesso abusivo e la richiesta di giudizio per l’ufficiale di polizia giudiziaria che l’ha effettuato». O del pubblico ufficiale. Persone che, per svariate ragioni, avrebbero risposto a una richiesta. Come in un qualsiasi mercato dove alla domanda corrisponde un’offerta. E a cui può ricorrere (e accedere) facilmente chiunque e per qualsiasi finalità, dossieraggio compreso.

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Autore
Panorama