Siamo solo anime in cerca di un palco – Messina, 22 giugno: Vasco è ancora fuoco che brucia la vita
- Postato il 23 giugno 2025
- Attualità
- Di Paese Italia Press
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di Francesco Mazzarella
Messina, 22 giugno 2025. In una serata dove il mare sembra trattenere il fiato e la città vibra come una corda di chitarra, Vasco Rossi torna a incendiare l’anima collettiva di decine di migliaia di persone. Non è solo un concerto, non è solo musica: è un rito laico, una messa rock, un urlo collettivo che da più di quarant’anni non si spegne. Anzi, si moltiplica. Ma perché? Perché Vasco, ancora oggi, è capace di muovere folle intere, di far piangere uomini adulti, di riaccendere il desiderio di vivere anche nei cuori sfiniti? Forse perché Vasco non è un cantante. Vasco è un sentimento. Una ferita che brucia. Una speranza che non muore mai del tutto.
Quella di Messina non è stata una data qualsiasi. È stata una dichiarazione d’amore. Un patto rinnovato tra un uomo che ha fatto della sua fragilità una forza e un pubblico che, attraverso le sue canzoni, si è sentito capito, accolto, salvato. Le prime note sono arrivate come pugni allo stomaco e carezze alla memoria: Dillo alla luna ha aperto il sipario con un’intimità rara, quasi un dialogo tra Vasco e ciascuno dei presenti. È bastato un verso – “se hai bisogno e non mi trovi cercami in un sogno” – per far scorrere le prime lacrime. Da lì in poi è stata un’escalation di emozioni.
Blasco è salito sul palco con la camminata di sempre, quella di chi non ha nulla da dimostrare ma tutto da donare. E l’ha fatto, canzone dopo canzone, sudore dopo sudore. Stupendo, C’è chi dice no, Siamo soli, Un senso, Senza parole… ognuna di queste pietre miliari è diventata eco, riflesso, carne viva nei volti del pubblico. Ragazzi di vent’anni e uomini di sessanta, padri con i figli sulle spalle, madri che cantano abbracciate alle figlie: tutti lì, a ripercorrere le tappe della loro vita attraverso le parole di un uomo che non ha mai avuto paura di mostrarsi per quello che è.
Perché Vasco non ha mai indossato maschere. È stato tossico, fragile, arrogante, malinconico, lucido, distrutto, felice. Ed è proprio per questo che la gente lo ama: perché nella sua voce roca e imperfetta c’è la voce di ognuno di noi. Di chi ha sbagliato e si è rialzato. Di chi ama e non viene capito. Di chi si sente fuori posto ma continua a lottare. In questo, Vasco è lo specchio di una generazione che non vuole morire dentro. È il grido di chi ha ancora qualcosa da dire. È l’abbraccio di chi ha avuto paura di cadere, e poi ha imparato a volare con le cicatrici ancora aperte.
Il concerto ha toccato punte altissime di energia con Sally, cantata come una preghiera laica sotto un cielo che sembrava ascoltare. Tutti in silenzio, tutti con le mani alzate. Vasco con gli occhi lucidi. È stato uno dei momenti più intensi, un viaggio dentro se stessi, una carezza all’anima stanca di chi ha vissuto troppo o troppo poco. Poi è arrivata Vivere, in una versione cruda, spogliata, solo voce e pianoforte, e il pubblico ha risposto con un rispetto quasi sacro.
Ma Vasco è anche rabbia. È anche resistenza. Così Gli spari sopra, Delusa, Rewind, Buoni o cattivi, Eh… già sono stati colpi sparati contro un mondo che spesso non sa più ascoltare, non sa più amare, non sa più perdonare. Vasco non canta solo per intrattenere: Vasco urla per scuotere. E chi lo ascolta non rimane mai lo stesso. È questa la magia. È questa la forza.
In scaletta non sono mancate le canzoni più recenti, tra cui Gli sbagli che fai, XI comandamento, Una canzone d’amore buttata via e L’amore l’amore, che testimoniano come il rocker di Zocca non abbia smesso di scrivere, di mettersi in gioco, di dire la sua. Anche oggi. Anche ora. Anche quando molti altri avrebbero già appeso il microfono al chiodo.
Il finale è stato puro delirio: Albachiara, come sempre, ha chiuso la serata in un’onda emotiva che ha spazzato via ogni resistenza. Vasco è rimasto in silenzio per lunghi istanti, guardando il pubblico, stringendo quel legame invisibile ma indissolubile. Tutti hanno cantato per lui, con lui, in lui. Albachiara è più di una canzone: è un inno generazionale, è la colonna sonora di chi ha amato, ha perso, ha vinto, ha sperato.
Ma perché tutto questo? Perché nel 2025 ancora Vasco? Perché non passa mai di moda?
Perché Vasco è vero. In un’epoca di filtri e apparenze, lui è ancora sangue, pelle, anima e verità. È un uomo che ha vissuto ogni parola che ha scritto. È il compagno di strada di intere generazioni. È il padre che non abbiamo avuto, l’amico che ci ha tenuto la mano nel buio, il fratello maggiore che ci ha detto: “non mollare”. Non è questione di nostalgia. È questione di identità. Chi ascolta Vasco, chi va ai suoi concerti, non cerca solo intrattenimento. Cerca appartenenza. E la trova.
A Messina, il 22 giugno, non c’è stato solo un concerto. C’è stato un incontro tra esseri umani. Un patto d’amore firmato con la voce, il sudore, le lacrime e le canzoni. Un patto che dice: siamo qui, ancora vivi, ancora in piedi. E lo siamo anche grazie a lui. Al Blasco. All’uomo che ha fatto della sua storia una leggenda. E che, ancora oggi, continua a insegnarci che vivere non è facile. Ma vale la pena. Sempre.
Perché Vasco non passa. Vasco resta. E brucia.
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