Siamo ormai all’eutanasia per le aree interne d’Italia? (Considerazioni per un’inversione di tendenza)

Il recentemente presentato Piano Strategico Nazionale delle Aree Interne (PSNAI) fornisce una lettura chiara della visione dell’attuale sistema decisionale pubblico. In particolare, nella sezione dedicata alle prospettive per le aree interne, alla luce delle tendenze demografiche in atto e previste a livello nazionale e internazionale, il documento ritiene che, sulla base delle proprie caratteristiche, ogni territorio, ogni Comune, debba porsi uno di questi quattro obiettivi: 1) Inversione di tendenza relativamente alla popolazione; 2) inversione di tendenza relativamente alle nascite;  3) contenimento della riduzione delle nascite; 4) accompagnamento in un percorso di spopolamento irreversibile.
In pratica, secondo gli esperti, gli amministratori delle municipalità, dovrebbero decidere di comune accordo, possibile anche con i referenti delle opposizioni, di lasciar morire il territorio che sono chiamati ad amministrare. In altre parole: un Governo schierato contro l’eutanasia, promuove e sostiene una strategia che applica l’eutanasia a interi territori.

La situazione delle aree interne e rurali del Paese

La chiave di lettura, al di là dei dati tecnici, dei report e degli approfondimenti statistici, è in fondo molto semplice: dobbiamo renderci conto che una parte del nostro Paese è destinata a morire; tanto che ogni investimento volto a invertire la tendenza potrebbe considerarsi come un accanimento terapeutico che, oltre a essere destinato a non ottenere risultati, priva di risorse territori in cui un investimento potrebbe invece essere più produttivo.
Una visione utilitaristica, sviluppata su un’interpretazione distorta del concetto di analisi costi-benefici; che purtroppo troverà, come uniche opposizioni, visioni faziose, che porteranno il dibattito ad una sorta di “tutela delle aree interne” ad ogni costo.
Semplificando in questo modo la questione, le conclusioni saranno in ogni caso nefaste, perché da un lato ci sarà un’opposizione che si schiererà per proteggere queste aree, senza tuttavia fornire visioni alternative; dall’altro un Governo che non farà altro che sottolineare questa vacuità di fondo.

Italia: alcune considerazioni sul futuro delle aree interne e rurali

Prima che questo dibattito si polarizzi, quindi, può essere utile introdurre nel ragionamento altre considerazioni.

Punto primo

È importante definire le politiche pubbliche sulla base di analisi costi-benefici, a patto che ogni analisi venga condotta tenendo conto del dovuto intervallo temporale di riferimento. Ovvero: è chiaro che se pensiamo ai prossimi 10 o 20 anni, risulta del tutto antieconomico investire nelle aree interne. Ma dato che qui stiamo parlando di una lenta eutanasia di territori, non sarebbe forse corretto considerare uno scenario di almeno 100 anni?

Punto secondo

Nell’analisi costi-benefici, oltre alle condizioni iniziali, bisognerebbe considerare i potenziali cambiamenti che potrebbero essere introdotti nel tempo da interventi integrati di riqualificazione e valorizzazione di un territorio. In altre parole: è naturale che non abbia senso, sotto il profilo economico, immaginare di costruire un ospedale per un paesino di 500 persone. Tuttavia, con un investimento ben definito, sulla base di piani coordinati di lungo periodo, grazie alla costruzione di scuole, asili nido e alloggi, insomma con la creazione di posti di lavoro, lo stesso paesino potrebbe facilmente crescere e arrivare nell’arco di 30 anni a contare almeno 20.000 persone.

Veduta del Lago Trasimeno dall'Isola Polvese, Umbria, 2023. Photo © Emma Sedini
Veduta del Lago Trasimeno dall’Isola Polvese, Umbria, 2023. Photo © Emma Sedini

Punto terzo

È necessario considerare la possibilità di integrare i flussi migratori in entrata. Dal momento che, sebbene questo Governo si schieri apertamente contro l’immigrazione, comunque stanzia fior fior di risorse pubbliche per la gestione dei migranti (si vedano i bandi ex-SPRAR, per averne certezza). È chiaro che la sola migrazione non può ripopolare tutto il nostro territorio, ma è anche vero che investimenti mirati, seguiti da azioni realmente orientate all’integrazione, si potrebbe generare una popolazione molto interessante per il nostro territorio.

Punto quarto

Non sottovalutare i pericoli dell’urbanizzazione ad ogni costo. È vero che sempre più persone nel mondo vivono in città piuttosto che in piccoli Comuni. Ma è anche vero che in moltissimi casi, nelle cosiddette megalopoli, vivono anche numerose schiere di persone senza casa, senza lavoro, prive di risorse, che spesso vanno incontro ad esistenze segnate dalle dipendenze da sostanze. 

Punto quinto

Tenere in considerazione la creazione di aree di produzione internazionale. Se davvero quei luoghi sono destinati a morire, allora varrebbe la pena riflettere sull’opportunità di “darli in gestione” a imprese internazionali, che possano operare in condizioni di fiscalità agevolata a fronte del rispetto di alcune condizioni chiave, identificate in modo puntuale e non in burocratichese. Del resto, lo sviluppo dell’attuale Dubai ci insegna che praticamente è possibile inventare una capitale mondiale a partire da zero (o quasi). Per quanto l’Italia da sola non abbia le risorse per definire tale inversione di tendenza, la costituzione di investimenti globali rappresenterebbe un tentativo per creare un modello valido per tutti quei territori dell’area occidentale del pianeta che, presto o tardi, affronteranno queste problematiche.

Punto sesto

L’innovazione è tutto. Questa è una dimensione un po’ più tecnica, ma che si può raccontare in modo semplicissimo. La strategia va sviluppata a partire da elementi realistici e scientificamente riscontrabili, perché tenere in considerazione ciò che non è ancora stato inventato sarebbe inesatto e sbagliato da un punto di vista scientifico, nonché illusorio sotto il profilo economico-finanziario. Le analisi e le strategie sono strumenti, non testi sacri. Sono elaborazioni di cui gli esseri umani si dotano per cercare di avere un’idea chiara sui fenomeni concretamente misurabili. 
Ad esempio, per quanto attualmente sia impossibile ipotizzare un’economia basata sull’intelligenza artificiale in grado di generare dei surplus economici tali da richiedere una riduzione delle ore-lavoro delle persone, che verrebbero quindi “sostenute” dallo Stato a fronte di una quota di lavoro privato e di una quota di manutenzione e sviluppo del territorio nazionale. Non è nemmeno impossibile escluderlo. 
L’esempio è volutamente fantascientifico, perché il punto è proprio questo: non potendo immaginare le prossime evoluzioni tecnologiche, è lecito basarsi su elementi certi quando si ha un ventaglio temporale di scelta breve ma, nel caso dell’estinzione di interi Comuni, forse qualche riflessione meno vincolata ad un sapere tecnicistico andrebbe condotta. Tenendo presente che: l’economia è una scienza sociale, non è un oracolo.

Punto settimo

È mportantissimo identificare una linea politica e culturale condivisa. Per quanto esistano delle comunità di artisti che si insediano in Comuni in via d’estinzione, non saranno certo le attività culturali e creative a risollevare il destino dei territori interni. Non è questa la cultura che può ottenere questo risultato. È però vero che l’identificazione di un messaggio chiaro di quello che si vuole costruire per il futuro del Paese può avere un impatto differente sulla vita delle persone. Se i Partiti Politici si impegnassero, da qui a 100 anni, a definire una linea politica comune, anno dopo anno si otterrebbero risultati importanti. Il punto è che i nostri Governi attendono che un problema divenga emergenza prima di agire. Perché se non è un’emergenza, non ha valenza elettorale. Bene per questioni ordinarie, ma qui si parla del futuro della nostra popolazione.

Aree interne del Paese: un dibattito aperto per risollevarne sul futuro

Ci sono tante altre riflessioni possibili. Ben vengano ulteriori spunti. Il punto però non è se un articolo può da solo sovvertire l’andamento demografico del Paese, ma comprendere che prima di dare per morto un territorio, ci sono numerosi spunti da prendere in considerazione.
La strategia proposta è piuttosto carente, e questo va detto con forza, proponendo visioni e soluzioni alternative. Perché qualunque forza politica si schieri contro queste scelte, dovrà ricordare che la condizione demografica del nostro Paese non è certo divenuta critica durante il Governo Meloni. Purtroppo, non tutto si ripara all’ultimo minuto. Ci sono cose che, se non curate nel tempo, vengono perdute per sempre. E oggi rischiamo di perdere parte del nostro futuro.

Stefano Monti 

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L’articolo "Siamo ormai all’eutanasia per le aree interne d’Italia? (Considerazioni per un’inversione di tendenza)" è apparso per la prima volta su Artribune®.

Autore
Artribune

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