Show con youtuber e vecchie glorie o rilancio con match stellari? La boxe è a un bivio. Pavesi: “Rispetto la tradizione, ma non si può negare il peso dei social”
- Postato il 11 settembre 2025
- Sport
- Di Il Fatto Quotidiano
- 4 Visualizzazioni
.png)
Due campionissimi dell’ultimo decennio della boxe, Canelo Álvarez e Terence Crawford, si affronteranno sabato prossimo, 13 settembre, a Las Vegas, unificando tutte le principali cinture dei super medi. Nei giorni precedenti a questo match per eleggere il campione indiscusso di categoria, voluto dallo sceicco saudita Turki Alalshikh, due vecchie leggende del pugilato come Mike Tyson, 59 anni, e Floyd Mayweather Jr, 48 anni, hanno trovato l’accordo e firmato il contratto per un match di esibizione nel 2026, e non è la prima volta che entrambi si cimentano in questo tipo di incontri, o di show che a dir si voglia, purtroppo sempre più frequenti negli ultimi anni. La boxe mondiale in questo momento storico sembra stia percorrendo due strade, quella dei match veri e quella degli incontri “finti”, quasi più simili al wrestling che al pugilato. Questo sport, che un tempo veniva denominato Noble Art, pare essere giunto ad un bivio, e magari dalla scelta del percorso da intraprendere si determinerà il futuro stesso della boxe.
Niccolò Pavesi, telecronista di Dazn e collaboratore dell’azienda organizzatrice italiana TAF, è una delle voci più conosciute in Italia; negli ultimi tempi ha saputo trasformarsi nei social in una sorta di influencer di questo sport. Per questo cambiamento non risulta amatissimo dalla cosiddetta vecchia guardia del pugilato italiano, formata da maestri, ex pugili e appassionati che si sono fermati agli anni Ottanta. Ma si gode il seguito dei restanti. “Io ha studiato tanto – dice a ilfattoquotidiano.it – ho visto tanti match dal vivo in Italia e all’estero, e guardato centinaia e centinaia di incontri su YouTube. Sono cresciuto con Roy Jones, Floyd Mayweather, Manny Pacquiao, Miguel Cotto, Bernard Hopkins. Rispetto la tradizione, ma non si può negare l’evidenza. Con l’avvento dei social negli ultimi dieci anni il mondo della boxe è stato stravolto. Chi è più presente ha più ritorno d’immagine e, di conseguenza, più ritorno economico. Sono in via di estinzione i campioni silenziosi che pensavano solo a fare i fatti come Bivol, Beterbiev, Usyk, Lomachenko e Golovkin. Gli eventi costano tanto, gli organizzatori devono guadagnare e propongono incontri con chi la spara più grossa su Instagram, o chi fa il pagliaccio”.
Almeno lo sceicco Turki Alalshikh organizza match veri.
“Non è del tutto così. Turki fa certamenti match veri, ma anche incontri che valgono solo per lo show business, come Joshua-Ngannou o Fury-Ngannou. Ora c’è Canelo-Crawford, ai puristi della boxe potrebbe non piacere. Crawford sale di tre categorie di peso in un colpo solo, cosa impensabile fino a dieci anni fa. I pugili che hanno cambiato categoria sono sempre esistiti, vedi Roberto Duran, ma mai facendo un salto del genere, per lo più a quasi 38 anni. Personalmente lo considero un incontro vero, con Crawford che può pure vincere, soprattutto se Canelo è quello dell’ultima uscita”.
Lo sceicco mette sul piatto così tanti soldi che i pugili più forti oggi si affrontano tra loro più di prima.
“Sì, è un aspetto positivo. Ma i soldi sono talmente tanti che spesso ai pugili le motivazioni vengono a mancare, se con un solo match puoi sistemare le tue sette generazioni future. Quasi non pensi al fatto che devi vincere l’incontro per forza, se incassi circa 100 milioni di dollari in una sera”.
Quindi anche Canelo-Crawford è sintomo di questi tempi.
“Questa cosa dei tempi che sono cambiati la dico da un po’. Me ne sono accorto quando ho iniziato a commentare su DAZN i primi match crossover, era il 2019 e sul ring c’era Logan Paul, lì ho capito che qualcosa stava cambiando”.
Ma questa è ormai l’unica strada percorribile?
“Purtroppo sì. La boxe è un mercato e c’è la regola della domanda e dell’offerta. Il pubblico è sovrano. I social hanno cambiato la boxe più che altri sport. Io i match di Jake Paul, per esempio, non li guardo. Questa cosa, lo dico sorridendo, magari mi aiuterà a riconciliarmi con la vecchia guardia… Questi non sono veri match, qui andiamo oltre la linea di confine. La boxe professionistica è sempre stata per il 70% sport e per il 30% spettacolo, oggi tutto è ribaltato. Ma con Jake Paul siamo al 100% di show. Il vero problema non è lui, ma il fatto che le federazioni, per i loro interessi, lo inseriscono in classifica. E la gente magari pensa che sia davvero un pugile e che i suoi siano match di boxe. Gli youtuber non sono la causa dei problemi, ma la conseguenza del fatto che i campioni non si sfidavano più tra loro, che le sigle sono troppe come del resto le piattaforme non in chiaro per guardare le riunioni. Il problema non sono gli “exhibition match”, ma quando questi e la boxe vera vengono mescolati.
Quindi non c’è futuro per questo sport?
“La boxe avrà sempre un futuro, ha troppa tradizione, troppo fascino e presa sui più giovani perché possa morire, però ripeto sarà sempre più importante la componente dello show: le sparate sui social e il trash talking in conferenza stampa. Ricordo che i numeri nei social non sono entità astratte ma vengono convertiti in denaro, in sponsor, in pubblico, in merchandising”.
Anche lei ora è un influencer della boxe in Italia.
“Ho cambiato stile, utilizzando un linguaggio più divertente, arrivo a più persone, rispetto a prima che ero più istituzionale, ma il mio obiettivo rimane comunque quello di raccontare la boxe”.
Ma i pugili a livello mondiale come sono?
“Nei pesi massimi, la mia categoria preferita, la situazione è triste rispetto alle altre categorie e rispetto anche solo a cinque anni fa. Crisi grandissima, mancano per esempio i massimi americani che nella storia sono rimasti nell’immaginario collettivo, da Ali a Tyson passando per Larry Holmes e Joe Frazier. Da anni i giganti americani preferiscono fare basket e football piuttosto che la boxe. Rischiano meno la salute. La grande boxe non è più americana, un tempo non l’avrei mai potuto immaginare. Ora gli inglesi sono i dominatori, però sei di loro hanno perso con Usyk. Itauma è un fuoriclasse che vale più degli altri connazionali, ma a 20 anni non è pronto per Usyk, ha combattuto ancora pochi round. La categoria è in mano agli inglesi anche grazie agli organizzatori e al pubblico, quindi tutto sommato i bei match non mancheranno”.
Altro talento in giro?
“Il talento esiste ancora. Molti pugili sulla carta sono fenomeni, magari vengono dall’Uzbekistan, dal Giappone, dal Messico, ma i promoter oggi più che ieri puntano a chi gli darà un ritorno economico. La boxe professionistica diventerà sempre meno democratica. Quella veramente democratica rimarrà quella olimpica, dove tutti i più forti del mondo si confrontano in una competizione”.
Mayweather-Tyson avrà interesse per lei?
“Non sportivo, ma lo guarderò per vedere i calzoncini neri di Tyson, la spalla sinistra a protezione del mento di Mayweather, gli attori di Hollywood a bordo ring e i cantanti sul quadrato”.
Jake Paul-Gervonta?
“Sono dispiaciuto per Gervonta, ma non giudico la sua scelta se con Jake Paul prende dieci volte quello che prenderebbe per fare un mondiale”.
Chi le piacerebbe commentare?
“Mi sarebbe piaciuto commentare Canelo-Crawford ma lo fanno su Netflix, Joshua-Fury a Wembley, ma quest’ultimo ormai è andato…. Spero in Itauma e Usyk quando avverrà”.
L'articolo Show con youtuber e vecchie glorie o rilancio con match stellari? La boxe è a un bivio. Pavesi: “Rispetto la tradizione, ma non si può negare il peso dei social” proviene da Il Fatto Quotidiano.