Sfiducia a von der Leyen, tutte le volte che Giorgia Meloni ha tradito l’amica Ursula
- Postato il 11 luglio 2025
- Zonaeuro
- Di Il Fatto Quotidiano
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Quanto tempo è passato da Borgo Egnazia. Solo un anno, ma sembra un secolo. Al G7 italiano Giorgia Meloni e Ursula von der Leyen mostravano al mondo il loro rapporto privilegiato, dopo i numerosi viaggi insieme a Lampedusa e in Nord Africa per affrontare insieme il dossier migranti e promuovere il cosiddetto Piano Mattei. L’asse Roma-Bruxelles era ogni giorno più forte: Fratelli d’Italia si mostrava come una forza meno antieuropeista di ciò che si credeva, il sostegno italiano all’Ucraina non era mai stato messo in discussione, sull’immigrazione la presidente del Consiglio poteva contare sul supporto del Berlaymont. Tutto sembrava andare alla perfezione tra le due donne più influenti dell’Ue, ma nemmeno dieci giorni dopo è arrivato il primo tradimento. Meloni volta le spalle a von der Leyen in Consiglio Ue, non vota per la sua conferma alla Commissione dopo le elezioni Europee e dà inizio a una spirale di tradimenti che arriva fino a oggi, quando la formazione di governo, smentendo le dichiarazioni di poche ore prima, esce dall’aula e lascia la politica tedesca in pasto ai partiti che volevano sfiduciarla.
Dal 27 giugno 2024, il rapporto tra le due non è più lo stesso. E il motivo è semplice: Meloni ha continuato a tradire von der Leyen. Da un anno a questa parte, il loro rapporto assomiglia alla favola della rana e dello scorpione. Ma non è detto, però, che entrambe vadano a fondo. Subito dopo le elezioni Europee si riunisce il Consiglio Ue composto dai capi di Stato e di governo dell’Unione. Obiettivo: nominare e mandare all’approvazione del Parlamento i quattro top jobs dell’Ue. Tra questi c’è anche quello di presidente della Commissione e il nome indicato dal partito che ha ottenuto più seggi nella Plenaria, il Ppe, è di nuovo quello di Ursula von der Leyen. La tedesca conta sui voti dei suoi colleghi di partito, ma anche su quelli di socialisti, liberali e, ovviamente, dell’amica Giorgia che anche grazie a lei sta gradualmente ripulendo la faccia al suo partito, nel tentativo di evitare di essere accomunata ad altre formazioni di estrema destra o neofasciste del panorama europeo, da Alternative für Deutschland al Pis polacco, fino al Rassemblement National di Marine Le Pen. E invece Meloni si astiene, rimanendo a metà tra la posizione del proprio partito europeo, i Conservatori contrari alla conferma della politica tedesca, e al blocco pro-Ursula.
Il rischio per Meloni, in quei giorni, era l’isolamento. Molti leader europei chiedevano che non venisse nemmeno presa in considerazione per la formazione di una maggioranza europea e venisse penalizzata nella scelta dei futuri commissari. Lei, scura in volto, di fronte alle telecamere disse che non era d’accordo con “l’imposizione di alcune cariche” ma che si aspettava che non venissero messe in atto ritorsioni nei confronti dell’Italia.
Fu grazie alla mediazione di Antonio Tajani e al parallelo rapporto che la presidente del Consiglio ha saputo instaurare con l’amministrazione Biden che questo non avvenne, nonostante il secondo tradimento che si è consumato pochi giorni dopo: il 18 luglio le candidature di von der Leyen, Roberta Metsola, Kaja Kallas e Antonio Costa vengono votate dall’Eurocamera che, con 401 membri a favore, dà il via libera. Ma gli eurodeputati di Fratelli d’Italia votano contro.
La rotta di Meloni sembra sempre più quella dell’isolamento. A tenerla a galla sono la garanzia offerta dal vicepremier in quota Forza Italia e lo stretto rapporto con Washington. Sarà proprio da von der Leyen, consapevole del fatto che una sponda a destra può risultare utile per attuare il piano di smantellamento del Green Deal e nel processo di riamo europeo, che arriva una mano tesa, non senza proteste da parte di Emmanuel Macron e altri leader Ue. Fratelli d’Italia strappa contro ogni pronostico un commissario con una delega di peso e la vicepresidenza per Raffaele Fitto. Potrebbe essere l’episodio del ritorno alla pace tra le due leader, con FdI che offre il suo supporto alla nuova squadra del Berlaymont contribuendo al via libera del Parlamento per soli 9 voti.
I mesi successivi sembrano scorrere sereni, con la nuova Commissione che ha dato inizio al suo progetto di graduale smantellamento del Green Deal e, parallelamente, di riarmo del continente, con anche il supporto del governo Meloni, eccezion fatta per la Lega. Ma il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca cambia gli equilibri e fa riemergere le vecchie incomprensioni. Scoppia la guerra dei dazi e tra l’asse con Bruxelles e quello con Washington, Meloni sceglie la rotta americana. Una posizione che fa imbestialire i leader Ue e che mette in difficoltà la presidente della Commissione, in un crescendo di tensione che non porta mai a un nuovo scontro. Fino a giovedì, quando lo scorpione è tornato a pungere. Il co-presidente di Ecr, Nicola Procaccini, in vista del voto di giovedì sulla mozione di sfiducia a von der Leyen aveva assicurato che non avrebbe mai votato contro la Commissione della quale fa parte anche Raffaele Fitto. E non lo ha fatto, in effetti. Ma come tutti i suoi compagni di partito non si è nemmeno presentato in aula, favorendo così proprio chi la sfiducia alla Commissione l’aveva presentata. La leadership della capa del Berlaymont ne è uscita a pezzi e tra le ferite che adesso dovrà leccarsi troverà anche l’ultima puntura dell’amica Giorgia.
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