Sessismo e responsabilità su procreazione, ricerca e diritti
- Postato il 3 marzo 2025
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Il Quotidiano del Sud
Sessismo e responsabilità su procreazione, ricerca e diritti
Procreazione, ricerca e diritti delle donne, sessismo e responsabilità nella scienza e l’impari responsabilità tutta al femminile
“Pole la donna d’oggi permettersi di pareggià con l’omo? Sì!
No! S’apra il dibattito!” canta Brunori Sas in un brano dal titolo Yoko Ono nel quale affronta – scomodando la nota artista, musicista e femminista d’avanguardia – una riflessione secolare ad oggi irrisolta, ovvero quella della parità di genere. La società ha a lungo associato la figura femminile esclusivamente alla sfera delle cure familiari, alla fertilità e al suo contraltare, l’infertilità. Un pregiudizio storico – da superare – che ha radici profonde nella cultura e nella storia, dove la procreazione è vista come una responsabilità quasi esclusivamente femminile.
Tale visione ha portato, nel lungo termine, la donna a sottoporsi a numerosi accertamenti, traumatici e dolorosi ed a una sottovalutazione del ruolo maschile nel processo riproduttivo. Questo ha contribuito, di conseguenza, a una mancata attenzione verso le problematiche di salute riproduttiva maschile. L’OMS stima che l’infertilità di coppia riguarda circa il 15% degli italiani contro il 10-12% nel resto del mondo. “Questa patologia – scrive l’OMS – può riguardare l’uomo, la donna o entrambi”. Nel 50% dei casi di infertilità – dati EpiCentro ISS – la causa è attribuibile al partner maschile.
Negli ultimi 40 anni, infatti, la qualità del liquido seminale è diminuita al punto che attualmente il 7% della popolazione a livello globale ha una riduzione della fertilità e nel 50% dei casi di infertilità di coppia, il partner maschile è portatore di alterazioni. Dai dati del ministero della Salute, un italiano su tre è affetto da patologie di natura andrologica, circa il 27% dei soggetti. Le cause possono essere molteplici, condizioni reversibili ed irreversibili. Riconoscere che l’infertilità è una questione che riguarda entrambi i partner è fondamentale per affrontare efficacemente il problema. Promuovere la consapevolezza sull’infertilità maschile può incentivare gli uomini a sottoporsi a controlli e trattamenti, migliorando così le possibilità di successo nel concepimento.
È tempo quindi che siano anche le donne a controbattere con fermezza all’affermazione: “Non sei in grado di darmi un figlio”. In questo processo di emancipazione “procreativa”, vengono in aiuto gli specialisti dell’ambito riproduttivo e la scienza che riconoscono, con molta onestà, che non esistono colpe nel mancato concepimento ma strumenti per comprendere a fondo le cause e terapie per offrire alle coppie le migliori opportunità di realizzazione del desiderio di genitorialità.
Oltre al peso della infertilità esclusivamente femminile, le donne combattono ancora oggi contro un sessismo istituzionale che si riflette nella disparità salariale, violenza di genere e la narrazione mediatica che spesso riduce la donna a un oggetto di desiderio o a un angelo del focolare.
Dall’entrata in vigore della legge Golfo-Mosca nel 2011, meccanismo che disciplina la rappresentanza di genere negli organi collegiali delle società italiane, le ultime relazioni disponibili evidenziano come la presenza femminile nelle posizioni al vertice delle imprese italiane sia nel complesso limitata. Le donne affrontano il cosiddetto “soffitto di cristallo”, un limite invisibile che impedisce loro di avanzare in carriere di alto livello. Inoltre, sta tornando in uso il concetto di “isteria”, storicamente legato all’utero, è stato per secoli usato per patologizzare il comportamento femminile e giustificare il controllo medico e sociale, sulle donne. Si pensi anche a processi naturali come il ciclo mestruale, spesso oggetto di tabù o utilizzati come strumenti discriminatori, contribuendo a una narrazione che descrive la donna irrazionale o instabile.
E se da un lato la lotta femminista continua a essere cruciale per scardinare queste radici profonde e costruire una società più equa e inclusiva, dall’altro capita ancora di ricevere come risposta, alla domanda: “A chi si deve la definizione della struttura della molecola del DNA?”, “A due uomini Watson e Crick”. Che questo accada in una classe di studenti liceali o, ancora peggio, in un’aula universitaria, è strabiliante. Il ruolo delle donne resta sempre quello di “essere alle spalle” di grandi uomini.
Eppure non si dimentichi che la scienziata, chimica, cristallografa e biochimica britannica, Rosalind Frankin ha pagato con la propria vita una delle più strabilianti scoperte scientifiche e pietra miliare della biologia molecolare, nonché della medicina: l’identificazione della struttura del DNA. È vero, la ricostruzione della molecola è stato un lavoro di squadra ma che includeva una donna messa da parte – anche in occasione dell’assegnazione del premio Nobel – e vittima di maschilismo.
Come lei tante altre donne. Marie Curie, la prima ad essere insignita del premio Nobel per la fisica dedicò la sua vita alla ricerca e alla scienza. La madre della fisica moderna, già dall’età di 24 anni si trovò costretta a lasciare il suo paese natale, la Polonia, per ovviare al fatto che le donne non potevano accedere all’università. E questa dibattuta lotta a far prevalere i suoi diritti di donna e scienziata si annoverano anche nel giorno in cui ricevette il premio Nobel quando ad un giornalista che le chiese come ci si sentisse ad aver sposato un genio, Curie rispose: “Non so, chiedetelo a mio marito”.
Donne che hanno fatto la storia della rivoluzione femminista. Donne che lottano ogni giorno per distinguersi. La già citata Yoko Ono, spalla del noto cantante John Lennon, non tutti sanno che negli anni Sessanta ha rappresentato un personaggio poliedrico, socialmente attivo nella lotta sul tema delle disuguaglianze, soprattutto di genere. Molti dei lavori dell’artista esprimono infatti lo spirito di ribellione nei confronti dei canoni del tempo. Con la performance Cut piece del 1965, Yoko si mostra quasi nuda agli spettatori che hanno partecipato a rendere a brandelli i suoi vestiti.
Si mostra in un corpo, quello femminile, che nell’opinione comune contemporanea è percepito nudo, spoglio. Su di lei, nel corso degli anni, è caduto il marchio noto come “Effetto Yoko Ono”, il fenomeno per il quale si fa ricadere sulle donne le colpe di determinati accadimenti. E forse di colpe – se di questo si vuole parlare – l’artista ha anche quella di avere co-prodotto insieme a Lennon la canzone “Imagine” che come ha dichiarato il produttore discografico Phil Spector: “Ho sempre pensato che Imagine fosse come l’inno nazionale. […] Una dichiarazione politica forte, ma anche molto commerciale allo stesso tempo”.
Sfatato anche il mito della presunta inferiorità biologica o morale, basta assoggettare alla donna stereotipi rigidi, limitanti e ingiustificati. Domandiamoci invece, sempre per citare Brunori Sas: “Pole la donna permettersi di pareggia’ con l’omo? I Beatles, i Beatles, i Beatles o Yoko Ono?”.
Il Quotidiano del Sud.
Sessismo e responsabilità su procreazione, ricerca e diritti