Servizio militare, le contraddizioni di un sistema tutto da reinventare
- Postato il 1 dicembre 2025
- Di Panorama
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C’è un po’ di confusione riguardo l’idea di ripristinare un servizio militare di leva, come dichiarato dal ministro della Difesa Guido Crosetto il 27 novembre: «L’idea è di portare un disegno di legge in Parlamento (…) penso che se la visione che noi abbiamo del futuro è una visione nella quale c’è minore sicurezza, va fatta una riflessione sul numero delle forze armate, sulla riserva che potremmo mettere in campo in caso di situazioni di crisi. Noi abbiamo costruito modelli – in Italia, come in Germania, come in Francia – negli anni scorsi che riducevano il numero dei militari. In questa nuova situazione tutte le nazioni, non soltanto le nazioni europee, mettono in discussione quei modelli che avevamo costruito 10-15 anni fa e tutti stanno pensando di aumentare il numero delle forze armate».
Crosetto ha innegabilmente ragione, ma è difficile comprendere da poche frasi quale sia esattamente il progetto da costruire in fatto di normativa, soprattutto perché, nei Paesi a noi vicini, esistono meccanismi differenti: da chi ha un servizio militare obbligatorio e chi una riserva permanente, come la Svizzera. Che vede addestrarsi i cittadini abili fino oltre i 50 anni d’età. Allo stesso tempo, è impensabile che dall’Unione Europea arrivi in fretta una legge che uniformi gli arruolamenti per tutti.

Prima contraddizione: la leva volontaria
Ciò che emerge, tuttavia, è una prima contraddizione: parlare di leva volontaria è un ossimoro, in quanto la prima parola indica un arruolamento obbligatorio per fasce d’età, la seconda pone invece un carattere di volontà ad aderirvi. Sempre riguardo alla leva, l’Italia dovrebbe oggi ricostruire completamente i meccanismi e le procedure necessarie al reclutamento come all’addestramento, e tale operazione risulterebbe costosa, lunga e ben poco popolare quanto a sostegno politico. Per fare un esempio: senza costanti visite mediche ai candidati, la Difesa non può conoscere il numero di persone disponibili all’arruolamento. Se proprio esiste il pericolo di un’invasione russa (ipotesi un po’ fantasiosa e tutta da verificare, soprattutto dopo una possibile fine del conflitto con l’Ucraina, con le forze russe da ricostituire), tanto varrebbe incrementare il numero di unità in ferma temporanea che già abbiamo.
L’incognita dei numeri e delle capacità operative
La seconda contraddizione riguarda proprio i numeri: quanti soldati in più ci servono? Oppure: quanti cittadini addestrati alle operazioni militari basiche sarebbe meglio avere? Due domande alle quali si dovrebbe rispondere con numeri precisi dettati da esigenze che siano il risultato di calcoli che però nessuno finora ha fatto. Esiste poi la questione delle capacità: considerando l’alta specializzazione richiesta oggi dai sistemi d’arma moderni, che prevede livelli alti di conoscenza e periodi di formazione nonché di addestramento che devono giocoforza essere continui, una ferma limitata a un anno risulta insufficiente. A meno che queste risorse “temporanee” vengano impiegate per operazioni di sicurezza sul territorio nazionale come avviene per Strade Sicure, lasciando che i soldati professionisti possano costituire la forza in prontezza.
Con un ulteriore problema: fino agli anni Ottanta il numero di ragazzi disponibili per la leva era alto, frutto della natalità di fine anni Sessanta. Oggi è il contrario: i giovani sono pochi e sempre meno, il nostro Esercito è anagraficamente vecchio, ma l’età dei soldati attempati non è ancora quella necessaria per pensionarli. Dunque essi dovrebbero trovare altri impieghi come nella pubblica amministrazione, che però sta giustamente assumendo giovani per svecchiarsi essa stessa.
Una vera riserva addestrata
L’unica possibilità per l’Italia sarebbe quella di istituire, oltre alla leva, una riserva che sia disponibile ad addestrarsi con una certa continuità e che possa essere mobilitata in caso d’emergenza. Su tutto esiste poi un problema culturale: secondo i rapporti del Censis pubblicati nel giugno di quest’anno, gli italiani disposti ad arruolarsi e a combattere sono poco più del 15% del totale di quelli in età idonea. Alla stessa domanda, gli inglesi hanno risposto positivamente all’80%. Forse è meglio lavorare per la pace e tornare a scambiare prodotti con la Russia, indipendentemente dalle posizioni di Londra, Parigi e Bruxelles.