Senza un supplemento di concorrenza le nuove tasse sulle banche rischiano di pagarle imprese e famiglie

  • Postato il 31 ottobre 2025
  • Economia
  • Di Il Fatto Quotidiano
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Il confronto tra il governo e le banche sulla partita delle maggiori tasse rischiano di pagarlo i clienti. Palazzo Chigi vuole aumentare del 2% nel 2026-28 l’Irap sugli istituti, incassando 4 miliardi in più, e altri 1,6 dalla possibilità per le banche di pagare un contributo volontario per affrancare le riserve accantonate con l’aliquota del 27,5% invece del 40. In totale, nel prossimo triennio all’Erario arriverebbe dal settore del credito un contributo ulteriore per 10 miliardi circa. Non un salasso, visto che nel solo 2024 gli utili netti del sistema bancario sono stati di 46 miliardi e nel primo semestre 2025 l’utile aggregato degli istituti quotati ha superato i 15 miliardi (+15,9%). Se l’anno scorso le banche hanno svicolato dall’imposta sugli extraprofitti, grazie a una facoltà prevista dalla legge, adesso però non avrebbero modo di evitare le nuove imposte. Ma ogni colpo agli utili di fatto si traduce in una contrazione dei prestiti e in un aumento degli oneri per i clienti, in una fase in cui i margini di interesse sono già in calo e gli istituti sostengono il loro conto economico sul fronte delle commissioni.

La prova concreta di queste dinamiche non arriva da analisi sugli effetti dell’aumento della tassazione (che sinora non c’è stato) ma da quanto è già avvenuto sul fronte della riduzione delle garanzie pubbliche per i prestiti per le imprese. È quella la cartina di tornasole che fa intravedere i possibili contraccolpi dell’aumento della tassazione. Vediamo cos’è successo. Secondo gli ultimi dati i crediti bancari garantiti dallo Stato verso le imprese italiane ammontano a circa 270 miliardi, eredità delle garanzie per circa 500 miliardi aperte dal governo Conte per sostenere le imprese durante la pandemia. Un’assicurazione a spese dell’Erario che copre impieghi pari al 13-14% del Pil, il 23% di tutti i crediti bancari ma che sale al 45-49% di quelli alle imprese.

Giancarlo Giorgetti aveva iniziato a sfrondare questi aiuti con la legge di bilancio dello scorso anno e ora intende proseguire con quella per il 2026. La tempistica della revisione non è delle migliori, visto che l’economia nazionale sta ristagnando, ma il governo è a caccia di tagli sulle spese per poter uscire già l’anno prossimo dalla procedura di infrazione Ue per deficit eccessivo. L’impatto della riforma del fondo di garanzia con la riduzione della copertura statale (dal 60% al 50% per i finanziamenti di liquidità e dall’80% al 70% per quelli destinati a investimenti) è però stato confermato dal calo del volume di finanziamenti concessi alle Pmi. Se il 2024 ha visto una leggera crescita del credito alle imprese (+2,4% per gli importi erogati nel primo semestre), confermato da una crescita limitata ma stabile dei prestiti (+1,2% ad agosto, +5,5 miliardi tra giugno e settembre) e un calo del tasso medio sui nuovi finanziamenti dal 4,4% a dicembre 2024 al 3,38% ad agosto, la crescita delle erogazioni non è stata uguale per tutti. I prestiti hanno premiato le aziende con più di 20 addetti (+8,2 miliardi, +1,5% nei primi mesi del 2025), mentre le piccole imprese con meno di 20 addetti hanno visto una contrazione (-2,7 miliardi pari a -2,8%) e sono aumentate la loro difficoltà a ottenerli.

L’altro effetto si è visto sui costi del credito. Nonostante i tassi siano scesi di circa il 2% rispetto al massimo del 2024 e si prevede che quest’anno restino stabili tra il 3,3% e il 3,5%, il costo medio dei nuovi prestiti alle Pmi nel 2025 è ancora intorno al 5,34%, seppure in calo di un punto e mezzo in un anno. Il tasso medio alle grandi imprese è inferiore di quasi un punto (4,48%) a quello delle Pmi. Intanto tornano brutti segnali sulla qualità del credito: nel 2024 i nuovi crediti deteriorati sono saliti all’1,4%, specie verso le imprese, e il trend potrebbe peggiorare per effetto del deterioramento della congiuntura e delle tensioni internazionali. Le banche potrebbero così guardare con più attenzione al merito creditizio e ridurre ulteriormente gli impieghi.

Il fatto è che dopo il 2020 troppe banche si sono affidate alla garanzia pubblica senza guardare troppo per il sottile a progetti e clienti finanziati, erogando somme a spese di Pantalone. La Banca d’Italia nel secondo semestre 2024 ha condotto una indagine dalla quale è emerso che quasi un quinto dei crediti garantiti dallo Stato sono risultati viziati da carenze documentali, omissioni nelle procedure antiriciclaggio, errata valutazione del merito di credito, utilizzo dei fondi per finalità diverse da quelle dichiarate.

Una vicenda esemplare su questo fronte è quella di Banca Progetto, istituto specializzato nel credito alle Pmi assistito da garanzia pubblica. A marzo 2025, Banca d’Italia l’ha commissariata per gravi irregolarità, tra cui operazioni di credito a personaggi legati alla ‘ndrangheta e perdite non contabilizzate per oltre 110 milioni. Il 15 settembre cinque tra le maggiori banche italiane (Intesa Sanpaolo, Unicredit, Banco Bpm, Bper, Mps) insieme al Fondo interbancario di tutela dei depositi (Fitd) si sono impegnate a ripatrimonializzare l’istituto con 400 milioni per salvarlo.

La maggiore tassazione sulle banche e il taglio dell’“assicurazione pubblica” che la maggioranza intende inserire nella legge di Bilancio aumenteranno dunque gli oneri per gli istituti di credito. Oltre al rischio di una riduzione degli impieghi, c’è anche quello che le banche si rifacciano a spese dei clienti, rincarando i servizi e aumentando i tassi richiesti sui prestiti. Il possibile effetto a catena è un aggravamento della fragilità delle imprese che potrebbe pesare su tutta l’economia e finirebbe per colpire anche le famiglie, con probabili rincari delle commissioni pagate per i conti, le carte di credito e gli altri servizi, e aumenti dei tassi applicati ai loro prestiti.

In queste ore molte voci sono arrivate a richiamare le banche, a partire da Giorgetti: “Si fatica a comprendere come l’andamento del credito rimanga debole, soprattutto nella componente a lungo termine – che dovrebbe sostenere l’attività di investimento – e sia ancora in diminuzione verso le imprese più piccole. Mi aspetto tuttavia un più forte dinamismo dal lato dell’offerta”. Luigi Sbarra, sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega al Sud nel Mezzogiorno, si è allineato: “Le aziende sono frammentate, l’accesso al credito è difficile”.

Se da un lato il governo non vuol più consentire agli istituti di realizzare utili a sue spese, addossandogli quasi la metà dei rischi sui finanziamenti alle aziende, dall’altro le famiglie e le imprese, specie quelle piccole e piccolissime, corrono il rischio che la nuova riforma della “assicurazione” di Stato si traduca in un credit crunch proprio quando l’economia frena e i fattori di preoccupazione aumentano. Ora l’aumento della tassazione potrebbe causare dinamiche identiche e accelerare gli stessi effetti già visti con la riduzione delle garanzie pubbliche. Senza un intervento pubblico che garantisca ai clienti controlli efficaci su una reale concorrenza tra gli istituti di credito, la moral suasion di Giorgetti, come in altri casi, cadrà nel vuoto e il conto della manovra, alla fine, lo pagheranno i cittadini.

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