Senaldi: scuola, prima le suore poi la pubblica com'era diverso una volta

  • Postato il 22 novembre 2024
  • Di Libero Quotidiano
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Senaldi: scuola, prima le suore poi la pubblica com'era diverso una volta

 Non è neppure finito novembre della seconda media, ma prima di scegliere i regali di Natale per la prole, tocca decidere dove faremo il liceo. Faremo non è un modo di dire: fotografa la realtà, oggi la scuola la si fa tutti insieme, genitori e figli, uno stress collettivo. Lo scopri al bar, dopo aver depositato l'erede. La madre di una compagna di classe ti manda il cornetto di traverso: «È uscita la classifica di Eduscopio con i migliori licei, non c'è un minuto da perdere». Li segnala la Fondazione Agnelli; mai rampolli della real casata non passano direttamente dal precettore in villa al liceo in Svizzera? Va beh, sarebbe velleitario paragonarsi.

ASPIRAZIONI
Scopro che bisogna trasferirsi a Morbegno, al liceo Nervi-Ferrari, uno dei migliori d'Italia, in Valtellina ma senza piste da sci sotto casa. Non va bene. Per il milanese, anzi l'urbanizzato doc, la scuola migliore non è quella dove insegnano meglio. Contano anche le conoscenze. Il ragazzo, o la ragazza - nelle aspirazioni dei genitori verso i figli è stata raggiunta la parità totale - deve farsi le amicizie, crearsi una rete; altrimenti quando cresce, se è un fesso, chi lo piglia? Mi risollevo nello scoprire che a Milano il miglior classico è il Sacro Cuore. La mia vecchia scuola, le suorine... Duro risveglio: è un istituto omonimo, il mio ha chiuso 25 anni fa per mancanza di iscritti, e poi erano elementari. Parlo in prima persona su richiesta del direttore, Mario Sechi, che ritiene, attraverso il racconto delle mie esperienze a confronto di studente prima e pagatore di rette scolastiche dopo, di poter rendere l'idea di cos'è cambiato negli ultimi decenni nel mondo dell'istruzione. Personalmente sono passato dal vagare tra l'insuf e il suff all'8, ma mi dicono che oggi sono di manica più larga.

LOTTA ADOLESCENZIALE
Comunque a me è andata così. Sono cresciuto in un quartiere metà nuovo e metà vecchio, borghesia e proletariato; bastava girare l'angolo e si passava dall'attico di 300 metri al bilocale del ciabattino dove vivevano in cinque. Si giocava insieme, in strada e nella squadra dell'oratorio. Sui banchi però era già tempo di marcare le distanze e alcuni genitori benestanti, non tutti, preferivano le private. Perché l'ambiente era più sicuro, perché eravamo tra fine anni '70 e inizio '80, si sparava, ti rapivano, la privata aveva il pullmino mentre alla pubblica già alle medie giravano con la droga e il coltello; e perché alla statale ci andavano quelli di sinistra, che da sempre vivono in centro e se lo possono permettere, perché lì è d'élite pure quella.
Nella super scuola elementare ho imparato a scrivere e far di conto. Eravamo in 42 contro una, la maestra, ed è già tanto. Alle medie ho realizzato che la matematica, la musica, l'inglese, il disegno e la tecnologia non sarebbero mai stati il mio mestiere e che sul resto avrei dovuto lavorare parecchio. Ho imparato anche a reggere la frustrazione dei votacci, ma sto divagando. Con gli anni, ho scoperto che i miei avevano precorso i tempi: alla mia vecchia elementare di zona adesso non ci va nessuno che arriva dalla mia via e dagli isolati limitrofi, tanto meno i figli di quelli che votano Pd. Dall'altra parte della strada oggi c'è islamopoli e nel plesso scolastico di zona le presenze straniere superano il 90% delle iscrizioni.
Comunque ho fatto le mie amicizie, e me le tiro dietro ancora oggi. Al momento di scegliere il liceo ero destinato al Leone XIII, gesuiti, la scuola delle classi dirigenti, ma in tre abbiamo fatto la rivolta: siamo grandi, vogliamo andare alla scuola pubblica. È stata forse la sola battaglia adolescenziale che ho vinto e che, fatti i conti, forse sarebbe stato meglio avessi perso. Però l'unione fa la forza, e mi sono anche divertito. Imparato? Meno di quel che avrei potuto. Ma quando scegli a quell'età, se non sei ispirato dall'Arcangelo Gabriele, non hai i mezzi per una decisione consapevole.


STRESS DA PRESTAZIONE
Meglio allora oggi, che entrano nel curriculum anche i corsi di teatro del venerdì pomeriggio? Forse i ragazzi non hanno più la sensazione che la scuola sia un parcheggio, come il servizio di leva, perché tanto la vita si gioca dopo. Oggi tutti sanno che non è così, mentre un tempo bisognava essere davvero figli di gente che la sapeva lunga per avere un percorso guidato fin dai banchi. Il rischio vero per i nostri figli è lo stress da prestazione e l'ansia genitoriale, questi fattori semisconosciuti per noi, figli della generazione che si affacciò al lavoro negli anni del boom, dove bastava un pezzo di carta, ma che aveva fatto anche una scuola ancora seria e selettiva, pre-sessantottina; probabilmente la migliore. I guai ora iniziano all'asilo, perché non c'è per tutti. Noi però siamo stati fortunati: sottocasa, pubblico e con giardino, cercare altro sarebbe stato uno schiaffo alla miseria. E le elementari? Zona nuova, storia vecchia: Barona e Navigli, miseria e nobiltà cheek to cheek. Ci sarebbe la Montessori bilingue, bellissima, dove però è difficile entrare. Proviamoci. Presi. Momento di panico: sono cinque anni, tocca aprire un mutuo. Alla fine scopri che la Montessori è va bene ma è meglio farla all'asilo ed entri in depressione ogni volta che constati di conoscere un vocabolo in inglese di cui tua figlia ignora il significato: tocca consolarsi con la pronuncia oxfordiana quando dice “yes, no e good night mum”. Tu non ce l'avrai mai, ma tanto la mamma è italiana e te l'ha presentata una compagna delle elementari... Le medie? Scelte con il passaparola e affidandosi al Signore, alla ricerca dell'equazione buona resa ma che non li ammazzino di compiti perché sono bambini. Nella decisione pesa anche una questione tecnica di grande agevolezza: sono proprio davanti al lavoro. La comodità conta. Private perché è un vizio che non smetti, sperando che alla fine la prole segua il tuo esempio e si ribelli invocando la pubblica. Ma i tempi sono cambiati.

CONSIGLI NON RICHIESTI
Un attimo e mi ritrovo a scegliere il liceo; o meglio, a tentare di concordarlo. Come farle riuscire gradito Morbegno se, come me alla sua età, pensa che il mondo si limiti ai suoi dieci amici? Io sarei per le soluzioni brusche: tanto siccome prima o poi farà un anno all'estero, mandiamocela subito e speriamo. Ma se lo dico in casa, spediscono via me.
Alla fine, vale la ricetta dei genitori e dei nonni: tocca ascoltare, affidarsi al Signore e dare consigli solo richiesti. Però non li chiedono, quindi bisogna buttare una frase fuori contesto mentre si va a pallavolo sul futuro, la vita e quel che serve, confidando che l'orecchio la capti eil cuore la coltivi. Certo che, se anziché a Milano si nasceva a Morbegno, era tutto più semplice...

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Autore
Libero Quotidiano

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