Senaldi: l'estradizione dell'iraniano e i tempi lunghi per Cecilia
- Postato il 3 gennaio 2025
- Di Libero Quotidiano
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Senaldi: l'estradizione dell'iraniano e i tempi lunghi per Cecilia
Chi pensa che la partita per la liberazione di Cecilia Sala dalle carceri iraniane sia solo politica, sbaglia o è in cattiva fede. È comodo per l'opposizione strumentalizzare l'arresto della reporter italiana a Teheran e addebitare al governo italiano i tempi della sua ingiusta detenzione - che non si annunciano particolarmente brevi- come se la situazione potesse risolversi con un colpo di bacchetta magica. La realtà però è diversa. Diplomazia, intelligence e politica sono al lavoro dal 19 dicembre, giorno in cui Cecilia è stata fermata, ma le trattative hanno le loro liturgie, bisogna spezzare il muro della diffidenza e trovare un canale di comunicazione.
In ogni caso, poiché è acclarato che la giovane è stata fermata in quanto il regime degli ayatollah la vuole usare come pedina di scambio per arrivare alla liberazione di Mohammad Abedini, l'iraniano bloccato a Malpensa il 16 dicembre scorso in esecuzione di un mandato internazionale firmato dalla Corte del Massachusetts, la verità è che il primo tempo della partita è nelle mani della magistratura italiana.
Allo stato attuale, la situazione è la seguente. Gli Stati Uniti hanno richiesto all'Italia l'estradizione di Abedini per terrorismo internazionale. Un rapporto dell'Fbi lo accusa di essere un consulente delle Guardie Rivoluzionarie islamiche e di aver esportato illegalmente tecnologia militare dagli Usa all'Iran e specifica che con questa sono stati realizzati i droni utilizzati per bombardare una base militare americana in Giordania, un anno fa. Un attacco nel quale hanno perso la vita tre militari Usa e sono rimaste ferite 38 persone.
I TEMPI TECNICI
Teheran sta facendo pressioni di ogni tipo per ottenere la scarcerazione del suo cittadino, dotato anche di passaporto svizzero. «È detenuto con false accuse, ci aspettiamo che il governo italiano acceleri la sua liberazione» ha detto l'ambasciatore Mohammadreza Sabouri, convocato dal nostro ministero degli Esteri. Tuttavia la decisione sull'estradizione spetta alla Corte d'Appello di Milano, che per pronunciarsi attende l'integrazione probatoria del mandato d'arresto, al momento non ancora arrivata. Le istituzioni americane devono depositarla entro 45 giorni dalla cattura di Abedini.
Ieri è però giunto il parere della Procura sulla richiesta di arresti domiciliari presentata dal legale dell'iraniano. Domanda respinta, con sollievo degli Usa, che avevano consegnato una nota ai magistrati dove giudicavano l'arrestato «molto pericoloso» e chiedevano che rimanesse in carcere, evocando il caso di Artem Uss, il trafficante d'armi russo fuggito dai domiciliari a Milano mentre attendeva di essere estradato in Usa.
«La messa a disposizione di un appartamento e il sostegno economico da parte del consolato dell'Iran, unitamente a eventuali divieti di espatrio e obbligo di firma non sono idonea garanzia per contrastare il pericolo di fuga» hanno stabilito i pm nel provvedimento di rifiuto, aggiungendo di «riservarsi una completa valutazione sul merito delle accuse».
Nella motivazione la difesa vede un aspetto favorevole, in quanto non ci sono elementi di condanna. «Ho già presentato una nuova istanza per la concessione degli arresti domiciliari, dove è scritto che l'Iran si impegna a garantire il controllo diretto e indiretto affinché Abedini non fugga, specificando che, ove lo facesse, perderebbe ogni sostegno da parte di Teheran». Nella domanda non è indicato un nuovo luogo dove scontare i domiciliari. Fidarsi è un rischio, ma i legali dell'arrestato ne fanno una questione di lealtà nei rapporti tra Stati, prescindendo dal fatto che Sala è detenuta nel carcere di Evin con la vaga accusa di aver violato le leggi islamiche ma, di fatto, senza aver commesso reati.
La prossima tappa della vicenda è fissata tra due settimane. Dopo il 14 gennaio la Corte d'Appello di Milano si pronuncerà pro o contro gli arresti domiciliari per Abedini. La decisione se concedere l'estradizione sarà successiva, si pensa a marzo. La Procura infatti ha 30 giorni di tempo dalla formalizzazione della richiesta d'estradizione, presentata dagli Usa il 28 dicembre scorso, per formulare la propria requisitoria e inviarla alla Corte d'Appello, che fisserà l'udienza. Normalmente passano due o tre mesi, ma è probabile che stavolta ci sia un'accelerazione dei tempi; a meno che il legale dell'iraniano o i giudici non chiedano agli Usa un'ulteriore integrazione probatoria.
Per quanto riguarda i criteri decisionali, i magistrati italiani possono valutare il merito delle accuse, se siano campate in aria o abbiano appigli sostanziali, ma non addentrarsi troppo oltre. La sentenza di estradizione non è un giudizio anticipato. Si considera la tenuta dell'impianto accusatorio, ma pesano di più gli aspetti formali, la circostanza, indispensabile, che i fatti contestati costituiscano reato anche in Italia e le condizioni in cui verrebbe scontata l'eventuale pena.
A quel punto, se l'estradizione sarà negata, l'iraniano verrà liberato subito, visto che è detenuto in custodia cautelare con il solo scopo che non scappi prima della pronuncia. Se invece i giudici decideranno a favore della consegna agli Usa, ad Abedini resta la carta del ricorso in Cassazione, che sicuramente presenterebbe, spingendo più in là di altri quattro o cinque mesi i tempi della soluzione della vicenda. Se gli andasse male anche con gli ermellini, all'iraniano resterebbe la carta del ricorso presso la Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, dove potrebbe lamentare una sproporzione tra i reati contestati e la pena dell'ergastolo che rischierebbe negli Stati Uniti o sostenere che oltre Oceano vivrebbe condizioni di detenzioni inumane, viste le accuse a suo carico.
LA CORTE UE
C'è un precedente, il caso McCallum, in cui Strasburgo ha vietato all'Italia un'estradizione verso gli Usa accordata invece dai nostri magistrati. La politica potrà entrare in campo solo se e quando la decisione a favore della consegna di Abedini a Washington diventerà definitiva. A quel punto il ministro della Giustizia potrebbe decidere per ragioni di opportunità di impedire l'estradizione e liberare il prigioniero.
Quanto a Cecilia Sala, rinchiusa a Teheran in condizioni che ledono i diritti umani, la donna può far ricorso alle Nazioni Unite, visto che l'Iran è parte del Patto sui Diritti Civili e Politici dell'Onu, che all'articolo 9 sancisce che «nessuno può essere arbitrariamente arrestato o detenuto» Tuttavia, malgrado il presidente alla Commissione dei Diritti Umani del Palazzo di Vetro sia proprio un iraniano, Teheran non ha mai ratificato il protocollo opzionale del Patto e le disposizioni dello stesso che prevedono i meccanismi di ricorso giudiziario contro gli Stati che lo violano. La giornalista italiana quindi ha un diritto e può vantarlo nel tribunale internazionale ma non ha lo strumento per costringere i suoi carcerieri a rispettarlo e liberarla. È la politica internazionale biforcuta degli ayatollah.
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