Sechi: l'Ue e l'exit strategy dall'Ucraina

  • Postato il 22 novembre 2024
  • Di Libero Quotidiano
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Sechi: l'Ue e l'exit strategy dall'Ucraina

La partita di Bruxelles si è conclusa, i nomi sono andati a dama, Raffaele Fitto sarà commissario e vicepresidente, Giorgia Meloni ha ottenuto una importante vittoria politica di cui beneficerà l'Italia. La premier ha chiuso un'operazione da masterclass: prima ha marcato la distanza dalla vecchia “maggioranza Ursula” (mentre le sinistre e i commentatori “à la page” strillavano in prima pagina che l'Italia era «isolata»), poi ha condotto un duro negoziato, sminando il sabotaggio del Pd (scelta autolesionista, dettata dall'ideologia e da una scarsa conoscenza della nuova mappa globale che sta emergendo) e facendo leva su uno scenario internazionale in profondo e rapido cambiamento (lo shock del voto americano, il trionfo del Maga), infine ha colto il risultato facendo pesare il futuro contributo dei Conservatori europei e i suoi rapporti diretti con i nuovi e potenti protagonisti che stanno per entrare in scena, coltivati nei primi due anni a Palazzo Chigi, è il raccolto di centinaia di ore di volo, incontri bilaterali e vertici internazionali, la semina della presidenza del G7 e del parlare schietto con gli altri leader delle grandi potenze. Sono qualità apprezzate e l'Italia oggi ha molte carte da giocare. Meloni ha lavorato a una trama complessa e ambiziosa. Sarà questa una delle chiavi di interpretazione della legislatura europea, in un passaggio storico che s'annuncia denso di pericoli.

La nuova Commissione Ue deve entrare in azione alla svelta, c'è bisogno di una linea meno ideologica e più pragmatica, in particolare sugli Affari Esteri. Due sono i dossier che hanno bisogno di una nuova dottrina europea: una strategia per frenare e chiudere la guerra in Ucraina (garantendo la sicurezza del fianco orientale dell'Unione); il rapporto con la nuova amministrazione americana, di cui si dicono molte cose a sproposito e altre da mettere alla prova dei fatti.

In Ucraina si punta a un cessate il fuoco nel 2025, ma la Russia continua a essere una minaccia e un dilemma. Il lancio di un nuovo missile a medio raggio è un avviso alla Casa Bianca che pochi giorni fa ha autorizzato l'uso dei suoi missili su obiettivi nel territorio russo. Vladimir Putin ha intensificato i suoi discorsi pubblici, mixando avvertimenti sull'uso delle armi nucleari, il «diritto» di risposta militare contro gli alleati di Kiev e la disponibilità a negoziare una pace di cui non si vede la sagoma all'orizzonte. Cosa vuole il Cremlino? Nessuno lo sa, per ora. Nel limbo della transizione tra Biden e Trump, c'è la preoccupante accelerazione di Mosca sul campo di battaglia, l'intensità e la massa d'urto degli attacchi sono un messaggio della Russia rivolto agli Stati Uniti: siamo qui, avanziamo sul terreno e non abbiamo intenzione di arretrare.

La presenza delle truppe nordcoreane di Kim Jong-Un è un altro passo nell'imprevedibile, ieri dopo un attacco ucraino nella regione del Kursk pare sia rimasto ferito uno dei generali di Kim. Il dittatore di Pyongyang ha un carattere sulfureo, gioca con il caos e i missili balistici, lavora da anni al perfezionamento della Bomba (gli analisti stimano che abbia 50 testate nucleari), è un elemento che per vocazione entra in scena per usare armi di «distrazione di massa», può creare solo con una serie di provocazioni una tempesta nell'area del Pacifico, alimentando la tensione con la Corea del Sud e il Giappone, mettendo la Cina nella posizione perfetta dell'agente della pace nell'area.

Il ritorno di Trump ha già cambiato il quadro di riferimento, come ha sottolineato ieri il Financial Times, la sua vittoria «ha messo fine» al «limbo e ha dato un'accelerazione alle riflessioni su una soluzione definitiva per l'Ucraina», il suo consigliere perla sicurezza nazionale, Michael Waltz, non è per niente un teorico della resa, ma un realista con cui il Cremlino dovrà fare i conti. La nuova amministrazione entra in carica a gennaio e la linea “America First” avrà un impatto anche sulla postura militare. La macchina del Pentagono è impegnata su tre fronti (Ucraina, Israele e Mar Rosso con gli Houthi), Washington deve fornire armi, sistemi di difesa anti-missile, produrre proiettili per l'artiglieria pesante, assicurare presenza navale e area, copertura radar e intelligence, uno sforzo che sottrae risorse al fronte orientale dove la Cina rivendica con decisione il suo ruolo e un'esclusiva “sfera d'influenza”. Xi Jinping qualche giorno fa durante l'incontro con Biden al vertice Apec in Perù è stato netto, ha tracciato di fronte al presidente uscente quattro «linee rosse» da non oltrepassare (ruolo del Partito comunista, sistema politico interno e diritti umani, guerra commerciale, status dell'isola di Taiwan). Parlava a Biden affinché Trump sentisse.

La nuova Commissione Ue ha di fronte una sfida ciclopica. Nel cuore dell'Europa c'è una guerra che divampa da oltre mille giorni, l'opinione pubblica oscilla tra l'indifferenza e la preoccupazione, uno smarrimento che riflette quello di Bruxelles e di classi dirigenti che ora più che mai hanno il dovere di parlare chiaro (su guerra, crescita economica, welfare, immigrazione e sicurezza) e trovare soluzioni realistiche per problemi che rischiano di far sprofondare il Vecchio Continente in una cronica debolezza militare e economica. Stretta tra gli Stati Uniti e la Cina, tra gli artigli dell'aquila e le fiamme del dragone, l'Europa è il manzoniano vaso di coccio tra i vasi di ferro. L'era dell'utopia è finita.

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Libero Quotidiano

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