Scuola, la crociata contro i compiti che non serve a nessuno

  • Postato il 10 giugno 2025
  • Di Panorama
  • 3 Visualizzazioni

Ogni fine anno scolastico, puntuale come una zanzara a Ferragosto, riappare il coro indignato contro i compiti delle vacanze. Genitori esasperati, opinionisti da salotto e influencer dell’educazione alzano i forconi contro il sistema scolastico oppressivo che osa assegnare esercizi estivi agli studenti di tutte le età. Si evocano traumi, si grida allo scandalo, si invocano infanzie rubate, si minaccia di mandarli in classe a settembre senza compiti, come se il problema in questo caso fosse del docente.

Ecco, diciamolo chiaramente: questa crociata ha stancato. Ha stancato perché dimentica che la scuola non è una punizione, ma una palestra di libertà. E come ogni palestra, ha bisogno di esercizio costante. I compiti delle vacanze non sono catene alle caviglie né sono cattiverie escogitate da professionisti frustrati anche se certamente, come ogni cosa, possono essere bene o mal pensati, bene o mal strutturati e bene o mal gestiti. Ci sono eserciziari per la primaria capaci di incuriosire e di mantenere alta l’attenzione e altri invece generici e noiosi, ci sono buone liste di libri messe a punto e aggiornate costantemente dai dipartimenti disciplinari delle diverse scuole e da singoli docenti e, allo stesso tempo, ci sono elenchi terrificanti di letture che ogni anno sono riproposti senza essere mai ripensati, mai calibrati; ci sono valanghe di esercizi tutti uguali e buone proposte, impegnative e soppesate.

L’attività umana è così, la qualità fa la differenza, sempre. Innanzitutto, cominciamo dalla definizione: stiamo parlando di compiti per settembre e non “delle vacanze”, e basterebbe solo questo accorgimento per dare al carico proposto e richiesto una prospettiva differente, seria, costruttiva, sensata. Questi compiti sono uno strumento — magari imperfetto, magari da ripensare — per tenere in mano un filo che unisca giugno a settembre, un filo che consenta di mantenersi in equilibrio nella propria vita da studente in crescita anche in vacanza dal proprio banco, nei ritmi blandi dell’estate, nei giorni senza stress e di potenziale riposo e divertimento a portata di tutti. Si può discutere come si assegnano, della qualità, della quantità, certo, ma il principio per cui uno studente possa dedicare un po’ del suo tempo estivo al pensiero, alla lettura, a un problema di matematica, alla visita a un museo, a una pagina di quaderno ordinata non è un crimine. Non è un crimine contro la famiglia, soprattutto, in primo luogo perché i compiti sono responsabilità degli studenti, che è bene siano aiutati nella gestione, ma a cui va affidata in toto la realizzazione.

Tra le voci che invitano a superare il modello tradizionale dei compiti c’è anche quella, autorevole e ascoltata, del professor Vincenzo Schettini. Fisico, insegnante e divulgatore, Schettini ha dichiarato: “Io non li ho mai sopportati molto i compiti, preferisco dare indicazioni su come organizzarsi.” La sua proposta sta facendo discutere ed è un tentativo di educare e di guardare alla persona, quindi benissimo, perché invitare a prendersi cura di sé stessi valorizzando il tempo e la relazione è ottima cosa, ma la materia che si insegna deve restare l’elemento centrale, oppure finisce per essere un giro a vuoto. E’ necessario tornare a occupare i propri ruoli educativi e dare il proprio contributo dal proprio osservatorio. Insegno italiano? Potrò suggerire di vedere mostre e città, ma sarà importante assegnare esercizi di sintesi scritta, letture e così via. Lo stesso per le altre discipline che andranno mantenute in estate (italiano, appunto, e poi senz’altro matematica e inglese).

A offrire un’altra angolazione, più profonda, è lo psicologo Osvaldo Poli, che insiste da anni su un principio tanto semplice quanto difficile da mettere in pratica: educare significa guidare, non accontentare. E guidare significa anche proporre attività — sì, anche compiti — che non sempre piacciono, ma servono a costruire tenuta, autonomia, responsabilità. “Un figlio amato,” scrive Poli, “è un figlio a cui è stato detto di no, senza sensi di colpa.” Lo stesso vale per uno studente. E ancora: “Solo ciò che costa qualcosa ha un valore educativo”. Forse è da qui che dovremmo ripartire. Non dal perenne referendum pro o contro i compiti, ma da una domanda più grande: che idea di educazione vogliamo trasmettere? Quella che insegna a non stancarsi mai? A non annoiarsi? A pretendere che ogni apprendimento sia intrattenimento?

La crociata contro i compiti ha stancato perché non aiuta davvero i ragazzi, anzi li confonde perché ancora una volta pone in discussione la pochissima credibilità della scuola, mettendoli solo al centro di un’ennesima schermaglia tra adulti smarriti, incapaci di dire “studia anche un po’”, senza sentirsi dei carnefici. Ma educare è proprio questo: avere il coraggio di chiedere, senza paura di essere impopolari. Anche a luglio. Anche con leggerezza, perché no. E’ il ruolo scomodo e necessario di chi ha delle responsabilità.

Autore
Panorama

Potrebbero anche piacerti