Sarà pure avido, ma il capitalismo ha sfamato miliardi di essere umani

  • Postato il 29 novembre 2025
  • Di Il Foglio
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Sarà pure avido, ma il capitalismo ha sfamato miliardi di essere umani

Brutti, sporchi e cattivi. Cinici, spietati, ossessionati dal profitto. Eppure maledettamente bravi nel fare il loro mestiere: creare e far circolare ricchezza. Una ricchezza che, trasformata in granaglie, diventa nutrimento per miliardi di persone. E’ la storia raccontata da Pane quotidiano. L’invisibile mercato mondiale del grano tra XIX e XX secolo (Donzelli), scritto da Carlo Fumian, professore emerito di storia contemporanea a Padova, e finalista al premio Friuli Storia. Un saggio che racconta come il grano – non un prodotto qualsiasi, ma la più basilare delle commodity – si è imposta come pilastro invisibile della globalizzazione. In pochi decenni, tra Otto e Novecento, il frumento passa da bene scarso e instabile, soggetto a guerre e carestie, a moneta planetaria. Sorregge l’esplosione demografica che porta l’umanità da meno di un miliardo di persone agli oltre otto miliardi attuali, accompagna il raddoppio dell’aspettativa di vita e riduce drasticamente la quota di popolazione impiegata nell’agricoltura. Non è un miracolo né un effetto di politiche redistributive: è il mercato. E dietro la rivoluzione non ci sono poeti o filantropi, ma logistica e speculazione: porti e ferrovie, assicurazioni e borse merci. La trasformazione è prima di tutto commerciale. Dopo millenni in cui il commercio internazionale si concentra su beni di lusso – spezie, sete, porcellane – il mondo si riorienta verso merci a basso valore unitario, consumabili da tutti e scambiabili in volumi giganteschi: zucchero, caffè, guano e soprattutto cereali.

 

A rendere possibile il salto sono tre rivoluzioni parallele. Quella dei trasporti, con treni e navi a vapore che riducono tempi e rischi; quella informativa, con telegrafo e radio che consentono per la prima volta di sapere in tempo reale dove il grano abbonda e dove manca; e quella finanziaria, con le borse merci, i futures e i derivati. Strumenti che oggi evocano la crisi del 2008, ma che hanno avuto un ruolo fondamentale nello stabilizzare i mercati. Qui entrano in scena i protagonisti: poche aziende familiari, rigidamente private, spesso opache e impermeabili rispetto al mondo esterno. Dinastie come i Cargill, che fanno del frumento un impero commerciale transcontinentale. Non quotati in borsa, eppure decisivi per la circolazione del cibo globale. E’ la prima vera globalizzazione, costruita non sulle bandiere ma sulle fatture. Il loro potere non resta confinato ai libri contabili. Nel 1972, con la cosiddetta Great Grain Robbery, l’Unione sovietica bussa al mercato americano per comprare in gran segreto milioni di tonnellate di frumento dopo un raccolto disastroso. L’economia pianificata che si regge sul capitalismo speculativo: il paradosso che ridisegna equilibri geopolitici e fa impennare i prezzi mondiali. Che anche al tempo dei microchip il mercato del cibo resti centrale lo dimostrano anche episodi a noi più vicini. Le Primavere arabe esplodono con l’aumento del costo del pane. Nella guerra tra Russia e Ucraina sono i corridoi del grano a diventare campo di battaglia e strumento di ricatto. Ogni volta che il frumento si ferma, il mondo trema. Fumian lo racconta senza mitizzare i protagonisti, ma anche senza moralismi. Pane quotidiano è un libro sulla modernità vista attraverso un alimento. E può essere anche un invito a guardare al capitalismo con meno ipocrisia. Un sistema perennemente a rischio di abusi e concentrazioni di potere. Se però miliardi di esseri umani oggi sfuggono alla fame, forse qualcosa lo si deve anche anche a lui: avido e spietato, ma capace di darci da mangiare.

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Autore
Il Foglio

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