SAR libica, il “trucco” di Italia e Ue per continuare a respingere i migranti. Da Minniti ai decreti anti-ong
- Postato il 14 ottobre 2025
- Politica
- Di Il Fatto Quotidiano
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Il 13 ottobre a Pozzallo sono sbarcate tre persone con ferite d’arma da fuoco, una di loro è in coma. Sarebbero state attaccate da una motovedetta libica nella zona di ricerca e soccorso (SAR) di competenza maltese. Allertate dalle ong, le autorità italiane “hanno risposto con 24 ore di ritardo”, ha denunciato la Mediterranea Saving Humans. E’ solo l’ennesimo episodio. Otto anni fa, il 6 novembre 2017 nel Mediterraneo centrale, la ong Sea-Watch partecipava a un’operazione di soccorso insieme a una nave militare francese e a un elicottero della Marina italiana. La guardia costiera libica, sul posto senza mai rispondere al coordinamento italiano, prendeva a bordo diverse persone per picchiarle, minacciarle e costringerle a ributtarsi in acqua. Morirono in venti, anche un bambino di 4 anni. La vedetta libica era appena stata donata dall’Italia nel merito del memorandum con la Libia che, dopo le proroghe del 2020 e del 2023, è prossimo all’ennesimo rinnovo. Nel 2017, quando fu firmato dal premier Paolo Gentiloni con l’allora governo provvisorio di Tripoli, all’accordo mancava un tassello: la SAR libica, l’area di mare di ricerca e soccorso da delegare alla guardia costiera libica, malgrado violenze, spari e minacce, allora come oggi, e nonostante la mancanza di requisiti essenziali per il soccorso. Ma senza la SAR libica il memorandum valeva ben poco e così, su spinta di Roma e Bruxelles, l’iter fu avviato e l’area subito rivendicata dalla Libia con toni perentori, nemmeno si trattasse di acque territoriali. Nel luglio del 2018 fu formalmente registrata presso l’Organizzazione marittima internazionale, IMO. Una “finzione”, è stata definita da chi negli anni ne ha chiesto la revoca. Ma dal memorandum fino ai più recenti decreti Piantedosi, si fonda tutto su quella finzione, compresi i traffici, i mancati soccorsi, i respinti in Libia, i 424 dispersi e i 461 morti in mare dall’inizio dell’anno (dati OIM).
In base alla Convenzione internazionale di Amburgo del 1979 per la ricerca e il soccorso (Convenzione SAR), una zona SAR è “un’area di dimensioni definite, associata a un centro di coordinamento dei soccorsi all’interno della quale vengono forniti servizi di ricerca e soccorso”. In base al Manuale Internazionale di Ricerca e Soccorso Aero Marittimo dell’IMO (IAMSAR), le SAR servono a “stabilire quale Stato ha la responsabilità primaria (non esclusiva, ndr) di coordinare le risposte alle situazioni di pericolo in quella specifica area geografica”, “per garantire che quella responsabilità sia assunta da uno Stato”. Non si tratta di attribuire giurisdizioni esclusive, né di fornire alibi al disimpegno degli altri Paesi costieri nell’area sollevandoli dall’obbligo di coordinare i soccorsi se il responsabile primario non si attiva. Il fine è tutelare la vita in mare e nient’altro. Ma tutto questo perde significato di fronte alla SAR libica, che non è conforme al quadro normativo e ai requisiti operativi internazionali. La questione del cosiddetto POS (place of safety) è nota: la Convenzione SAR definisce in modo esplicito “Rescue” (soccorso) come “un’operazione volta a recuperare persone in pericolo, fornire loro le prime cure mediche o altro soccorso necessario e trasportarle in un luogo sicuro”. Conferma categorica che lo sbarco in un “porto sicuro” è parte integrante e obbligatoria di qualsiasi operazione di soccorso marittimo. Secondo il diritto internazionale, se non c’è un POS, non c’è “Rescue”. La Libia non può garantire un porto sicuro di sbarco. Lo diceva la Cassazione nel 2018 e l’ha ribadito nel 2024, in merito al fermo della nave umanitaria Humanity 1, il Tribunale di Crotone: “Allo stato attuale non è possibile considerare la Libia un posto sicuro ai sensi della Convenzione di Amburgo, essendo il contesto libico caratterizzato da violazioni gravi e sistematiche dei diritti umani e non essendo stata mai ratificata la Convenzione di Ginevra del 1951 sui rifugiati da parte della Libia”.
Di fronte alla Humanity 1, la guardia costiera libica aveva aperto il fuoco. Ragione per cui il Tribunale aveva definito l’operazione di soccorso della guardia costiera libica “insussistente”, precisando che nessuna disobbedienza poteva imputarsi alla alla Humanity 1 “la quale è risultata l’unica imbarcazione ad intervenire per adempiere, nel senso riconosciuto dalle fonti internazionali, al dovere di soccorso in mare dei migranti”. La condotta della guardia costiera libica e il fatto che le sue “operazioni di salvataggio” si risolvano in refoulement (respingimenti) verso luoghi non sicuri o peggio, di tortura, contrasta direttamente con la Convenzione SAR, per non parlare dei diritti umani violati. Non solo. Nella Libia divisa e “in transizione” da 14 anni, l’obbligatoria centrale di coordinamento unificata non esiste e quella che chiamiamo guardia costiera libica è di fatto in mano a diverse milizie. E infatti il Rescue Coorination Centre di Tripoli (Centro di Coordinamento del Soccorso Marittimo) non è operativo 24 ore su 24, non risponde prontamente, più spesso in arabo, o si nega del tutto. La prassi è nota e già agli atti. Com’è noto che “l’affidabilità della rete di comunicazioni” è invece un requisito imprescindibile. Queste le principali ragioni al centro di alcuni appelli all’IMO perché revocasse la SAR di un Paese non all’altezza. Ma l’IMO fa solo da notaio. Le zone SAR, dice il già citato Manuale IAMSAR, devono essere stabilite “mediante accordo tra le Parti interessate“, principalmente i Paesi costieri, e gli accordi devono “garantire un coordinamento generale equivalente dei servizi SAR nell’area”. Tanto che “gli Stati dovrebbero proporre modifiche ai confini di quelle esistenti se questo permette di organizzare i soccorsi in mare in modo migliore e più utile”.
In altre parole, se Italia, Malta e l’Unione europea più in generale, non fossero disposte a mentire sulla conformità della SAR libica, difficilmente saremmo qui a parlarne. Ma l’area e l’operatività della guardia costiera libica, finanziata, rifornita e addestrata da Italia e Ue, hanno permesso di delegare ad altri quelli che prima erano respingimenti operati direttamente da Paesi Ue. Da quando esiste la SAR libica, la storia documentata delle segnalazioni di imbarcazioni in pericolo sembra un disco rotto: i silenzi e i mancati interventi di Malta, l’Italia che evita in tutti i modi di coordinare soccorsi fuori dalla sua area SAR, che a Lampedusa coincide praticamente con le sole acque territoriali, e infine i libici, che arrivano a “soccorrere” persone (o a sparare) fino nella SAR maltese, anche minacciando e sottraendo naufraghi a operazioni di salvataggio già in corso. Attività che evidentemente viene apprezzata e infatti le autorità marittime italiane e maltesi, con la supervisione dell’Agenzia Ue Frontex e il concorso della missione militare europea IRINI, continuano a collaborare con quella guardia costiera, riconoscendole un’area marittima di competenza a dir poco vasta. Di fronte alla Corte d’Appello di Catanzaro, l’esecutivo Meloni è riuscito addirittura a sostenere la “giurisdizione esclusiva” dei libici sulla zona SAR. Tesi prontamente respinta e tuttavia fondante del decreto Piantedosi (legge 15/2023), che sanziona con fermi amministrativi i comandanti delle navi umanitarie che non obbediscono agli ordini delle “autorità competenti”. Tra gli ultimi fermi, insieme a quello di Mediterranea, quello della nave ong Trotamar III, sequestrata al porto di Lampedusa dopo aver salvato 22 persone lo scorso 23 agosto, evitato il loro respingimento in Libia e “disobbedito” alla guardia costiera libica che, tanto per cambiare, ha minacciato di aprire il fuoco. “La Libia e la Tunisia non possono offrire un porto sicuro ai profughi, quindi non permetteremo loro di coordinare le nostre operazioni di soccorso”, aveva detto la portavoce Katja Tempel. La liberazione della nave, l’ennesima, è stata poi ordinata dai giudici di Agrigento, che hanno riconosciuto che la barca “è stata fermata illegittimamente”.
Ma siccome si è permesso alla Libia di auto certificare la sua zona SAR, il governo italiano non smette di ringraziare i libici per le persone rintracciate in mare e riportate indietro: 20.017 i migranti intercettati in mare e riportati in Libia nel 2025, compresi 718 minori (dati OIM). Coerente anche il silenzio del governo su un altro recente attacco armato dei libici: 20 minuti di spari in acque internazionali contro la Ocean Viking di Sos Meditérranée. La Commissione europea, bontà sua, ha invece chiesto alla Libia di fare luce sui fatti. Se in Libia esistesse un centro di coordinamento davvero unificato non ce ne sarebbe nemmeno bisogno. La verità è che la SAR è l’alibi necessario a finanziare i libici perché i respingimenti non siano direttamente imputabili a noi. Fa tutto parte del cosiddetto contrasto all’immigrazione irregolare che, si è deciso, viene prima del diritto internazionale e della vita umana. Il contributo alla causa di questa menzogna internazionale? Negli ultimi anni gli sbarchi di chi è partito dalla Libia si sono mantenuti sempre costanti, circa 50 mila, cifra che i dati attuali lasciano prevedere anche per quest’anno. Se di affari si tratta, qualcuno deve pur arrivare sulle nostre coste. Del resto la guardia costiera libica non è immune dalle milizie colluse con gli stessi trafficanti di esseri umani che i governi europei promettono di combattere. Anzi, capita addirittura che gli scafisti indossino le divise delle milizie legate al governo libico. I due business, quello delle partenze e quello dei rintracci in mare con conseguente incarcerazione, si legano in un circolo vizioso che spesso rimette in gioco le stesse persone migranti. Per questo centinaia di voci nel corso degli anni, compresi esperti, giuristi, associazioni umanitarie ed europarlamentari italiani e non, hanno continuato a chiedere di sospendere immediatamente la zona SAR e così il memorandum con la Libia, che il prossimo 2 novembre, invece, verrà probabilmente rinnovato dal governo.
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