Sanzioni Usa sul petrolio russo, Lukoil vende le attività estere alla Gunvor. E in Ungheria prezzi della benzina alle stelle

  • Postato il 31 ottobre 2025
  • Economia
  • Di Il Fatto Quotidiano
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Lukoil in vendita: è finita sul mercato la controllata estera del colosso russo che, il 22 ottobre scorso, insieme all’altrettanto ciclopico gemello Rosneft, è stato colpito dalle sanzioni di Trump. La società energetica russa, ha riferito poche ore fa l’agenzia statale russa Tass, ha accettato l’offerta della Gunvor, multinazionale registrata a Cipro e con sedi a Ginevra. Attiva nel mercato delle materie prime, ha un fatturato annuo che supera i cento miliardi di franchi. Per la finalizzazione dell’accordo serve però un definitivo yes di approvazione che deve arrivare da Washington. Nessuno conosce ancora il preciso prezzo della cessione; per il quotidiano russo Izvestia, si aggira intorno ai dieci miliardi di dollari, ma i ricavi per i russi potrebbero essere, a causa delle sanzioni, molto minori: solo tre. Secondo una fonte di Politico, la scelta di cedere alcuni degli asset all’estero (tre raffinerie e circa la metà delle sue circa cinquemila di servizio in tutto il mondo) avrebbe comunque determinato alla Lukoil una perdita di profitti del 30% circa.

Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky è convinto che le sanzioni contro le compagnie petrolifere russe stiano funzionando: su X ha scritto che Mosca rischia fino a 50 miliardi di dollari di perdite annue secondo “valutazioni preliminari e dettagliate” fornitegli dalla sua intelligence. Intanto, per lo strangolamento sanzionatorio americano, che potrebbe presto tagliare le forniture russe che riforniscono l’Ungheria, Budapest lamenta che la sua sicurezza energetica ed economica è a rischio.

Nonostante le sanzioni europee abbiano già colpito il petrolio russo nel 2022, l’Ungheria ha ottenuto una deroga per i flussi in arrivo dall’oleodotto Druzhba che, via Ucraina, trasporta greggio dalla Federazione in Europa centrale. Mentre l’Europa riduceva in questi anni le esportazioni fino al 3% (nel 2021 ne importava il 26%), l’Ungheria ha perfino aumentato i volumi che acquisiva prima della guerra: dal 61% al 86% nel 2024. Budapest però presto potrebbe essere costretta a rifornirsi dall’oleodotto Adria e dalla Croazia, a lungo accusata di imporre tariffe altissime sul transito delle esportazioni e di non soddisfare il fabbisogno petrolifero magiaro. Per il ministro degli Esteri ungherese Péter Szijjártó “la Croazia cerca di trarre profitto dalla guerra in Ucraina”.

Ora il premier Orban ha un grosso nemico, ma non abita a Zagabria: prezzi stellari del greggio alle pompe in Ungheria, a cascata, potrebbero determinare un’impennata dell’inflazione nel Paese. Soprattutto per questo, dopo che il preannunciato summit tra Trump e Putin previsto nella sua capitale è stato sospeso, andrà a Washington il prossimo 7 novembre: il presidente americano “sbaglia” sull’omologo russo, ha detto, “andrò da lui per fargli togliere le sanzioni alla Russia”.

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