Sanità, il 7,8% delle famiglie liguri ha rinunciato a curarsi. Aumenta la spesa privata: 824 euro pro-capite

  • Postato il 19 febbraio 2025
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  • Di Genova24
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dentista

Liguria. In Liguria il 7,8% delle famiglie ha rinunciato a una o più prestazioni sanitarie. Lo riporta l’Istat riferendosi agli ultimi dati disponibili: anno 2023. Il dato è superiore alla media nazionale (7,6%) e vale il nono posto in Italia. Si va dal 5,1% della Provincia Autonoma di Bolzano al 13,7% della Sardegna.

Chi può permettersi di spendere invece ricorre a fondi propri per le spesa sanitaria e la spesa pro-capite in Liguria è di 824 euro in base ai dati del sistema tessera sanitaria che viene usato per la dichiarazione dei redditi. Una cifra che piazza la Liguria al settimo posto a livello nazionale (media italiana 730) tra i 1.023 euro della Lombardia e il 377 euro della Basilicata.

I dati sono emersi durante la presentazione del Report dell’Osservatorio Gimbe sulla spesa sanitaria privata in Italia nel 2023, commissionato dall’Osservatorio Nazionale Welfare & Salute (Onws) e presentato nella giornata di ieri al Cnel.

In un contesto di crescenti difficoltà del Servizio Sanitario Nazionale, la spesa sanitaria delle famiglie cosiddetta out-of-pocket (le prestazioni sanitarie erogate ai cittadini che prevedono un esborso di denaro da parte dell’utente) ha superato in Italia i 40 miliardi di euro nel 2023, registrando un incremento del 26,8% tra il 2012 e il 2022.
Tuttavia, la spesa out-of-pocket non rappresenta un indicatore affidabile per valutare le mancate tutele pubbliche, sia perché circa il 40% riguarda prestazioni a basso valore, sia perché è frenata dall’incapacità di spesa delle famiglie e dalla rinuncia a prestazioni per reali bisogni di salute.
Di conseguenza, l’ipotesi ventilata dalla politica di ridurre la spesa out-of-pocket semplicemente aumentando quella intermediata da fondi sanitari e assicurazioni non appare realistica. Questa la posizione di Gimbe.

Chi ha i soldi, spende. Anche se il 40% è “consumismo sanitario”

“L’aumento della spesa out-of-pocket non è solo il sintomo di un sottofinanziamento della sanità pubblica – afferma Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione Gimbe – ma anche un indicatore delle crescenti difficoltà di accesso al Ssn. L’impossibilità di accedere a cure necessarie a causa delle interminabili liste di attesa determina un impatto economico sempre maggiore, specie per le fasce socio-economiche più fragili che spesso non riescono a sostenerlo, limitando le spese o rinunciando alle prestazioni”.

Non è un caso che ai primi posti della spesa sanitaria privata ci siano regioni più ricche e dove la sanità funziona meglio: Lombardia, Emilia Romagna, Veneto, dove ci sono migliori performance nei Livelli essenziali di assistenza (Lea), mentre le regioni del Mezzogiorno e/o in Piano di rientro si collocano al di sotto. “Questo dato – spiega il presidente – conferma sia che il livello di reddito è una determinante fondamentale della spesa out-of pocket, sia che il valore della spesa delle famiglie, al netto del sommerso, non è un parametro affidabile per stimare le mancate tutele pubbliche, perché condizionato dalla capacità di spesa individuale”.

Secondo i dati Istat-Sha, le principali voci di spesa sanitaria delle famiglie italiane includono l’assistenza sanitaria per cura (comprese le prestazioni odontoiatriche) e riabilitazione, che rappresenta il 44,6% del totale. Seguono i prodotti farmaceutici e apparecchi terapeutici (36,9%) e l’assistenza a lungo termine (Ltc), che assorbe il 10,9% della spesa.

“Tuttavia – spiega il presidente – le stime effettuate nel report indicano che circa il 40% della spesa delle famiglie è a basso valore, ovvero non apporta reali benefici alla salute. Si tratta di prodotti e servizi il cui acquisto è indotto dal consumismo sanitario o da preferenze individuali quali ad esempio esami diagnostici e visite specialistiche inappropriati o terapie inefficaci o inappropriate”.

Sanità intermediata da fondi sanitari e assicurazioni a rischio collasso

Del totale della spesa sanitaria di 176,1 miliardi, il 74% è rappresentato dalla spesa pubblica, il 23% dalla spesa privata pagata direttamente delle famiglie e il 3% quella privata intermediata da fondi sanitari e assicurazioni.

Considerando solo la spesa privata, l’88,6% è a carico diretto delle famiglie, mentre solo l’11,4% è intermediata.
“Questi valori – commenta Cartabellotta – riflettono tre fenomeni chiave: il sottofinanziamento pubblico, l’ipotrofia del sistema di intermediazione e il crescente carico economico sulle famiglie. Siamo molto lontani dalla soglia suggerita dall’Organizzazione Mondiale della Sanità: per garantire equità e accessibilità alle cure, la spesa out-of-pocket non dovrebbe superare il 15% della spesa sanitaria totale”.

L’Italia supera la media Ocse e dei paesi Ue sulle cifre pro-capite della spesa sanitaria out-of-pocket. Tuttavia, l’Italia resta nettamente indietro rispetto agli altri Paesi europei per quanto riguarda la spesa intermediata. Il dato italiano è meno della metà della media Ocse e ben al di sotto della media dei paesi Ue.

Secondo i dati raccolti da Gimbe il 31,6% della spesa intermediata viene assorbito dai costi di gestione, mentre poco meno del 70% è destinato a servizi e prestazioni per gli iscritti. Tra il 2020 e il 2023 i fondi sanitari integrativi hanno progressivamente aumentato le risorse destinate all’erogazione di prestazioni, riducendo il margine rispetto alle quote incassate. “In altri termini – continua il presidente – la crisi della sanità pubblica e, soprattutto, la sua incapacità di garantire prestazioni tempestive stanno spostando sempre più bisogni di salute sui fondi sanitari, mettendo a rischio la loro stessa sostenibilità“.

“La sanità integrativa – aggiunge Ivano Russo, presidente dell’Osservatorio Nazionale Welfare a cui gimbe ha commissionato lo studio – sostiene la salute dei lavoratori e delle loro famiglie e rappresenta una forma avanzata di welfare sussidiario a supporto di quello pubblico. Tuttavia, può svilupparsi solo se realmente integrativa rispetto a un Ssn in buona salute per intermediare la quota di spesa ad elevato valore delle famiglie, grazie alle auspicate riforme che il settore attende da anni”.

Secondo Gimbe l’approccio di sistema deve essere più articolato in termini di riforma: “Rilancio del Ssn e della sua attrattività anche a livello di carriera. Una maggiore sensibilizzazione dei cittadini per contrastare gli eccessi di medicalizzazione e una formazione mirata dei medici per limitare le prescrizioni inappropriate. Infine, una rimodulazione del perimetro dei Lea, oggi insostenibili per il numero di prestazioni incluse rispetto alle risorse pubbliche disponibili, per restituire al secondo pilastro il ruolo primario d’integrazione rispetto alle prestazioni non incluse nei Lea, come l’odontoiatria e la long-term-care, alleggerendo così la spesa delle famiglie”.

L’incapacità del Ssn di garantire prestazioni in tempi adeguati rischia di compromettere la sostenibilità stessa della sanità integrativa, delineando uno scenario critico. “Da un lato l’aumento della spesa out-of-pocket e delle polizze assicurative individuali per chi può permettersele − ribadisce Cartabellotta − dall’altro, la crescita dei fenomeni di riduzione delle spese per la salute e di rinuncia alle cure, con peggioramento degli esiti di salute. In definitiva, il secondo pilastro, previa adeguata riforma, può essere sostenibile solo se integrato in un sistema pubblico efficace. Altrimenti rischia di crollare insieme al Ssn e diseguaglianze e tradisce per sempre l’articolo 32 della Costituzione e i princìpi fondanti del Ssn”.

Autore
Genova24

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