Sandro Iacometti: la sinistra trucca le carte sulla sanità

  • Postato il 19 ottobre 2024
  • Di Libero Quotidiano
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Sandro Iacometti: la sinistra trucca le carte sulla sanità

Ma se i prezzi aumentano e la spesa sanitaria sale, i cittadini hanno più servizi? Se la popolazione diminuisce e le risorse restano le stesse gli ospedali diventano più efficienti e le liste di attesa spariscono? Ma, soprattutto, se il Pil crolla, come è accaduto col Covid, la sanità riparte e sguazza nell'oro? No, non siamo impazziti sottoponendo ai lettori domande assurde e sconclusionate. Stiamo semplicemente mettendo nero su bianco le conseguenze paradossali che si verrebbero a creare se prendessimo per buoni i dati a cui si aggrappa la sinistra per dimostrare che da quando al governo c'è Giorgia Meloni il sistema sanitario non vede più il becco di un quattrino. E che le risorse promesse nella prossima manovra sono solo specchietti per le allodole.

Il leader pentastellato Giuseppe Conte, ad esempio, si vanta di aver portato la spesa sanitaria sopra il 7% del pil, senza ricordare, però, che nel 2020 il prodotto interno lordo è crollato del 9%. In termini assoluti, infatti, l'esborso a carico dei conti pubblici è stato di 123 miliardi rispetto ai circa 140 previsti per il prossimo anno. La verità è che fare polemica politica a colpi di tabelle e indicatori è un gioco dove la maggior parte delle volte si dicono un sacco di fesserie.

Da una parte e dall'altra. A sgretolare le certezze su cui le opposizioni stanno conducendo una feroce campagna contro la manovra del centrodestra, proprio relativamente alle risorse destinate alla sanità, ci ha pensato l'economista Riccardo Trezzi, solitamente poco tenero con il centrodestra, che su X ha demolito un post del responsabile economico del Pd, Antonio Misiani, che, solita tabellina alla mano, provava a dimostrare i disastri del governo Meloni.

Il primo punto è che l'equazione “meno spesa sanitaria in percentuale del Pil = meno servizi ai cittadini” è una bufala colossale, «algebricamente sbagliata». Con la stessa pazienza con cui si spiega la matematica a un bambino Truzzi cerca di far capire alla sinistra che se i servizi restano gli stessi, ma il pil aumenta, il rapporto tra spesa e prodotto scende, ma non per questo i servizi diminuiscono. Allo stesso modo, se il pil scende e i servizi restano gli stessi, la percentuale sale, ma i servizi sempre quelli sono. E fin qui dovrebbero arrivarci tutti. Ma Truzzi introduce anche altri elementi di riflessione. Il primo, non quantificabile se non verificando con rigore il livello dei servizi, è quello relativo alla qualità. Cosa ce ne facciamo di valange di miliardi affidati al fondo sanitario se i soldi vengono buttati al vento?

Se un ospedale paga le siringhe il doppio di un altro spenderà sicuramente di più, ma farà lo stesso numero di punture di quello che le paga la metà. C'è poi il caso in cui le siringhe le pagano tutti nella stessa misura, ma il loro prezzo aumenta. A parità di iniezioni, quindi, dovremmo arrivare alla conclusione che la spesa sanitaria è aumentata e quindi tutto funziona meglio. No, ci spiegherà, l'esperto, perché nei calcoli che si fanno sulle risorse destinate alla sanità si tiene conto anche dell'inflazione.

Il problema, prosegue Trezzi, è che il deflatore del pil non è lo stesso di quello della sanità. In altre parole, i prezzi del pane potrebbero essere saliti alle stelle, mentre quelli delle siringhe sono rimasti uguali. Altra variabile che, se non considerata con precisione, fa sballare tutti i conti. «Se la spesa arrivasse al 7% del Pil avremmo ospedali all'avanguardia? Comparirebbe un unicorno?», si chiede Trezzi, secondo il quale la polemica sui decimali di spesa rispetto al Pil è una battaglia persa in partenza. La realtà è che l'Italia da decenni cresce poco.
E quindi il nostro 7% del Pil, per quanto più vicino alle medie europee, resta sempre insufficiente a garantire servizi adeguati. Di qui la conclusione che l'unica soluzione veramente efficace sia quella di spingere la crescita.

Resta da smentire l'ultima panzana che circola da un po' di settimane. Le difficoltà della sanità pubblica avrebbero provocato un aumento della spesa privata e, di conseguenza, la mancanza di cure per chi non può permettersi di pagare. Ebbene, secondo il presidente dell'Associazione che rappresenta le strutture sanitarie private (Aiop), Gabriele Pelissero, la Fondazione Gimbe, che ha lanciato l'allarme, ha preso una grossa cantonata: «Se leggiamo i dati Istat, vediamo che la spesa privata negli ultimi quindici anni è sostanzialmente stabile e ruota in modo permanente intorno al 2% del Pil». Anche qui c'è il Pil di mezzo, e bisogna fare attenzione. Ma se vale per la spesa pubblica, almeno usiamolo pure per quella privata.

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Libero Quotidiano

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