Sánchez ha paura di finire matado: il governo più femminista d’Europa affonda tra scandali e tradimenti

  • Postato il 4 luglio 2025
  • Di Panorama
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Pedro Sánchez conosce certamente le gesta di Pietro Nenni. Lo storico leader socialista, del resto, combatté persino la Guerra civile spagnola. Dev’essergli però sfuggito il folgorante insegnamento dell’illustre progenitore politico: «A furia di fare il puro, c’è sempre qualcuno che epura». E chi era più lindo dell’aitante premier iberico? Nel 2015, quando le inchieste sulla corruzione dilaniano i popolari, così apostrofa Mariano Rajoy: «Il primo ministro deve essere una persona dignitosa. Lei non lo è!». Dieci anni dopo, arriva la nemesi. Il Psoe di Sánchez è travolto da pirotecnici scandali: registrazioni segrete, laute tangenti, disinibite meretrici. Mentre piazze e alleati invocano dimissioni.

Non è un premier qualunque, Don Pedro. È a capo del governo più rosso d’Europa. L’unico leader di sinistra rimasto in circolazione. Presiede pure l’internazionale socialista, che riunisce i partiti progressisti, compreso l’italico Pd. La segretaria dem, Elly Schlein, si scapicolla all’ultimo raduno di Istanbul non riuscendo a trattenere la vanteria: «Mi ha invitato Sánchez». Lui è l’inarrivabile mito dei compagni tricolore. Ogni suo anelito diventa dogma. Lancia l’allarme fascismo nel continente? Vamos! Promette la regolarizzazione di un milione e mezzo di immigrati? Adelante!

La diligente Elly annota: diritti civili, femminismo, anticapitalismo. La Spagna è il paradiso del wokismo. Le sedicenni possono abortire all’insaputa dei genitori. I minorenni cambiano genere senza autorizzazione medica. Le donne hanno il congedo mestruale. L’ultima legge che fa palpitare il Nazareno viene approvata due mesi fa. La sempre vaga Schlein mutua e rilancia: «Mentre in Italia il governo nega il salario minimo, in Spagna il governo socialista di Pedro Sánchez, con la ministra Yolanda Díaz, dà il via libera alla riduzione della settimana lavorativa da 40 a 37,5 ore». Díaz è un’altra fuoriclasse che incanta il campetto largo. Vicepremier iberica, leader di Sumar, vessillifera dell’estrema sinistra. Lancia il referendum promosso dal “querido Landini”. Partecipa ai congressi della Cgil tra gli gli osanna. Sponsorizza l’ex ministro, Andrea Orlando, alle regionali liguri.

L’inamidato Pedro, però, galleggia in un mare di melma. L’ultima inchiesta coinvolge anche il numero tre del Psoe. Il dimissionario Santos Cerdán, responsabile organizzativo del partito, è accusato di aver intascato tangenti in cambio di appalti pubblici: almeno 620 mila euro. «Non avremmo dovuto mai fidarci di lui» lo liquida il premier. Ma le indagini coinvolgono pure l’ex ministro dei Trasporti, Josè Luis Ábalos, nonché il suo ex consigliere Koldo Izaguirre, già buttafuori di nightclub e autista. Tutti arcifedelissimi. Tra gli artefici dell’inesorabile ascesa di Sánchez, dieci anni fa.

Nelle intercettazioni, oltre a parlare di soldi da spartire, si discute ruvidamente del gentil sesso. Garcia, per esempio, dice ad Ábalos: «Hai Arianna, che va bene, è perfetta». Ma ci sono pure «la colombiana e l’altra». L’ex ministro è dubbioso. Il sodale taglia corto: «Beh, scegli quella che vuoi. O Arianna e Carlotta. E che vadano tutti a farsi fottere!». Olé. Illuminante anche lo scambio del novembre 2020. «Capo ti sta chiamando Nadia, quella figlia di putt…!» avverte Garcia. Si riferisce a Calviño: allora ministra dell’Economia. «Questo ci disgusta» commenta addolorato Don Pedro. «I termini sessisti sono assolutamente incompatibili con i valori femministi di questo partito». Rubare sarà grave, mai però quanto il machismo. A inizio giugno, quando perquisiscono la casa di Ábalos a Valencia, l’ex ministro è in compagnia di una modella di 32 anni. El Mundo dettaglia: trattasi della pornostar Letizia Hilton.

«Le donne della trama: oggetti sessuali o nemiche da eliminare» sintetizza El Pais, quotidiano del progressismo iberico. La polizia, intanto, esamina quattro chiavette. Si vocifera del coinvolgimento di un altro ministro. Garcia ha registrato per un decennio tutte le sue conversazioni con i potentoni socialisti. Ci sarebbero anche audio di Begoña Gómez, moglie di Sánchez. La primera dama è già indagata per aver firmato lettere di raccomandazione ad aziende che hanno beneficiato di aiuti statali. Le accuse erano partite da un sindacato dal nome dipietrista, Manos limpias. Poi viene aperta un’inchiesta per traffico di influenze. E poco più di un mese fa il fratello minore del premier, David Sánchez, è stato rinviato a giudizio per abuso di ufficio. Avrebbe usato l’illustre parentela per farsi assumere dal consiglio provinciale di Badajoz, come responsabile degli  spettacoli dal vivo.

Le indagini sui famigli sembrava che avessero minato le certezze di Don Pedro. La scorsa primavera pensa pure alle dimissioni. Ma poi, tra una cosa e l’altra, rimane al suo posto. Il suo attaccamento alla Moncloa, del resto, è leggendario. Non si scompone nemmeno quando il governo rinuncia a presentare la legge di bilancio. E neppure per la dilettantesca gestione della catastrofica alluvione a Valencia.

La sua acconciatura resta impeccabile persino dopo il blackout dello scorso aprile, che sarebbe causato anche dall’eccessivo uso di rinnovabili. Persino la sua maggioranza, però, comincia a ripudiarlo. «Il ciclo politico di Pedro Sánchez è finito, l’unica domanda rimasta è quando arriverà la fine, se prima o dopo» annuncia Podemos. Per capirsi: è il partito della pasionaria arcobaleno Irene Montero, moglie del fondatore Pablo Iglesias e madrina della “ley trans“. Lo scorso autunno, a Bruxelles, un collega la chiama «querida». Lei svalvola: «Sono deputata, non cara. Si tolga un po’ di machismo di dosso». A confronto, Elly è una dorotea. Ecco: provate quindi a pensare alla scatenata Irene che ascolta le testosteroniche intercettazioni degli ex capoccia socialisti, piene di putas y virilidad.

Insomma: il governo più femminista della storia sembra al capolinea. Nasce a novembre 2023, nonostante la vittoria dei popolari. Don Pedro non ha abbastanza voti, però tiene immensamente alla sua rielezione. Così, mette in piedi il “governo Frankenstein”. Maggioranza da brividi, appunto: dai tifosi di Hamas agli indomiti secessionisti catalani. Adesso ha tutti contro: opposizione, alleati, stampa, cittadini. Nei sondaggi l’indice di gradimento è al 26 per cento. Due settimane fa, decine di migliaia di persone scendono in piazza a Madrid per chiedere le sue dimissioni. E l’opposizione vuole elezioni anticipate.

D’altronde, Ábalos e Cerdán sono stati tra gli iniziali sostenitori di Sánchez nel partito. Primarie socialiste del 2014. La vecchia guardia lo avversa. Lui si dimette. Improvvisa un tour nel Paese, a bordo della sua Peugeot 407, per convincere i militanti ad appoggiarlo. Pulizia contro intrallazzi. Un viaggio diventato epopea nel Psoe. Ora viene insozzato pure da quelle colorite registrazioni: Cerdán avrebbe ordinato al fido Garcia di inserire due schede elettorali per Sánchez, «senza farsi vedere». Le scorribande sull’auto francese sono raccontate nella prima autobiografia del premier: Manuale di resistenza. Titolo appropriatissimo. La sua riconosciuta arte politica resta quella: rimanere incollato alla poltrona, tra mille traversie, un rimpasto dopo l’altro. Difatti lo chiamano “perro”, ossia cane: perché è particolarmente arduo sbarazzarsi di lui. Ma anche “teflon”, come il materiale delle pentole antiaderenti. L’aitante Pedro assomiglia all’Ercolino sempre in piedi, il misirizzi che la Galbani regalava ai clienti più fedeli. Ed è questo il punto. Non si schioda mai. Neppure stavolta. Anzi, rilancia. Duella con la Nato per non aumentare al cinque cento del Pil nazionale le spese militari. Mentre Donald Trump, il presidente americano, annuncia che raddoppierà i dazi per la Spagna.

Vinavil Sánchez, nonostante l’apocalisse giudiziaria, resta attaccato al sillón. Il suo partito è limpio. Mica come gli altri. Ma la “banda Peugeot” colpirà ancora. I racconti di strabilianti e pecorecce imprese sono appena cominciati.

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Panorama

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