San Siro, cosa c’è in gioco per il futuro del calcio italiano

  • Postato il 25 settembre 2025
  • Di Panorama
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L’ormai lunghissima vicenda di San Siro e del suo destino arriva al momento della verità in un clima da dentro o fuori. Non ci saranno vie di mezzo nella definizione del dossier aperto nel 2019, quando Milan e Inter hanno presentato i primi studi per la realizzazione di un nuovo impianto nell’area dove risiede l’attuale Meazza: dentro, nel senso di chiusura dell’operazione ed entro il 2031 un nuovo stadio accanto a quello di oggi, poi abbattuto, oppure fuori con i club che guardano all’area di San Donato dove il Milan ha già avviato l’iter burocratico e amministrativo prima di congelarlo nuovamente.

Tertium non datur, dicevano i latini. Su Milano ci sono gli occhi di tutto lo sport italiano e non solo. La moral suasion di Figc e Lega Serie A si è trasformata con il trascorrere dei mesi e degli anni in pressione a tutto campo. Le ultime uscite del presidente federale Gabriele Gravina (Lo stadio Meazza non risponde ai requisiti richiesti dalla Uefa per ospitare l’Europeo. L’augurio che mi sento di fare è che la parte politica, d’accordo con lnter e Milan, riesca a trovare la migliore soluzione per Milano”) e di quello di Lega, Ezio Maria Simonelli (“Lasciare la città più altospendente d’Italia senza gli Europei sarebbe una figuraccia incalcolabile. Buttare a mare questo processo per questioni ideologiche di bassa lega è un autogol”).

Prima erano arrivate le parole del numero uno della Uefa, Aleksandr Ceferin (“Penso che le infrastrutture calcistiche italiane siano una vergogna”) a sigillare uno stato di fatto: il sistema del pallone italiano ha già perso un’enorme quantità di treni negli ultimi decenni e, ora, è arrivato all’ultima chiamata: o si mette al passo con i tempi, oppure è destinato inesorabilmente a declinare.

Senza uno stadio moderno Milan e Inter non saranno in grado di colmare il gap che si è scavato con le locomotive calcistiche d’Europa. E la verità è che il calcio italiano vive storicamente sullo stato di benessere delle tre grandi del Nord: le due milanesi e la Juventus. Insieme hanno conquistato 75 dei 123 scudetti assegnati dal 1898 ai giorni nostri, 60 su 79 concentrandosi solo sul periodo dopo la Seconda Guerra Mondiale. Dunque, o Milano riparte o tutto il sistema soffre. Un sistema che nell’ultimo decennio ha visto nascere 153 nuovi stadi in Europa di cui solo due in Italia e che non organizza un grande evento calcistico dagli sciagurati Mondiali del 1990.

L’Europeo del 2032, che doveva essere tutto italiano ed è stato condiviso con la Turchia proprio perché la Figc non era in grado di garantire la presenza di dieci strutture all’altezza (sic!) è l’ultima finestra utile. Dietro Milano ci sono le storie di Roma (ormai ultradecennale), Napoli (dove De Laurentiis e il Comune hanno visioni opposte), Firenze (cantiere aperto con soldi pubblici rifiutando gli investimenti privati di Comisso), Bologna (dossier sul tavolo senza passi avanti concreti da anni) e così via.

Interessa? Dovrebbe, anche se si tratta solo di pallone. In fondo il calcio in Italia muove interessi economici per 7 miliardi di euro (fatturato 2024 certificato dal Report Calcio Figc) con un impatto sul Pil stimato in 12,4 miliardi. E’ ormai una filiera industriale, non solo sport o intrattenimento. Fatica a reggersi sulle sue gambe per errori di chi lo governa, ma anche perché gli si chiede di combattere con armi spuntate. Il pensiero di quel settore è che gli stadi nuovi, funzionali e accompagnati da strutture che rendano sostenibili investimenti (privati) onerosi, siano la prima e indispensabile chiave di volta. Altrove lo hanno fatto ormai un quarto di secolo fa: Inghilterra, Spagna, Germania, Francia ma anche Polonia, Turchia e realtà che ormai ci hanno superato. La posta in gioco della partita su San Siro – per lo sport italiano – è questa: prendere o lasciare.

Autore
Panorama

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