Salis e Piciocchi alla guerra dei forti di Genova, una scalata che può costare ai genovesi 90 milioni
- Postato il 24 agosto 2025
- Politica
- Di Blitz
- 1 Visualizzazioni

Salis e Piciocchi alla guerra dei forti di Genova, una scalata che può costare 90 milioni.
La infinita battaglia elettorale, postelettorale e combattuta in ogni atto politico di questa transizione genovese dalla destra alla sinistra allargata al centro, si sposta sui forti che difendono sulle alture la Superba.
E dove se non qui, in quella muraglia che per numero di costruzioni, trentasette per l’esattezza, è solo seconda a quella cinese e circonda dall’alto Genova, la sua ex Repubblica che ai tempi d’oro era inattaccabile dal mare, ma si poteva conquistare solo calando dall’alto e dove si sono infrante spesso, ma non sempre, le armate austriache e francesi e pure savoiarde che volevano mettere le mani su quella capitale del Mediterraneo.
Qui in una altitudine di trecento, quattrocento metri sul Golfo e sul porto, inattaccabile dal mare, quella catena di forti che ognuno ha il suo nome, ma anche il suo degrado e insieme la sua forza storica, costruita tra il Seicento e il Settecento e molto meno nei due conflitti mondiali del Novecento, oggi, nel terzo millennio, si combatte un’altra battaglia-partita.
Che è quella di arrivare finalmente in modo rapido e comodo su quel lungo crinale, una specie di grande davanzale sulle bellezze della Superba, da Est, da Ovest, dai picchi di montagne che offrono angolazioni fantastiche, compresa quella mitica e più interna, dove, a quasi 1000 metri, sorge il Santuario della Madonna della Guardia , sicuramente la più pacifica e la più popolata per il seguito di devozione e riconoscenza ai miracoli che da lassù sono stati ispirati, compreso l’ultimo, quello che ha fermato a 43 le vittime del ponte Morandi, crollato sette anni fa e che poteva provocare centinaia, se non migliaia di morti senza quella protezione.
I forti che difendevano Genova

La giunta comunale dell’irruente ex sindaco Bucci, quello che “criava” per imporre le sue idee e i suoi programmi, aveva progettato e inizialmente finanziato una funivia che dalla Stazione Marittima salisse al più esposto di quei forti verso l’orizzonte della città, Begato, una costruzione massiccia, addirittura restaurata in parte nel 2000, perché avrebbe potuto essere la sede di riserva del G8 genovese, quello tragico della morte di Carlo Giuliani e delle devastazioni della città da parte dei cortei violenti dei no blok.
Operazione ardita, non certo inconsueta anche in grandi città di mare (si pensi alla Funivia di Barcellona, solo per fare un esempio), con lo scopo di trasportare le legioni di turisti inscatolati sulle banchine portuali e nei caruggi contorti di Genova, in una città con tante piccole attrazioni, ma nessuna grande meta oltre all’Acquario, lassù sui forti.
Con il presupposto di rilanciare quelle un po’ affascinanti, ma malridotte costruzioni dai nomi affascinanti, Sperone, Pin, Due Fratelli, Tre Fratelli, Santa Tecla, Tenaglia, Dei Ratti….., a seconda delle loro storie e trasformarle in luoghi di storia e ricostruzioni non solo belliche, in un processo di marketing e di occasioni anche commerciali gigantesche.
Praticamente trasformare le sobrie alture genovesi, estese su quei crinali per chilometri e chilometri di sentieri e strade sterrate e rarissimi servizi, in un percorso unico al mondo per conoscere quella storia, ma anche per passeggiare sul tetto di una città che offre bellezze inconsuete, estese lungo quel golfo ampio che ha come confini, Portofino a Levante, il promontorio noto in tutto il mondo e dall’altra parte Capo Mele, sfumato nell’azzurro dell’orizzonte, dove c’è il confine più lontano, la punta estrema della Liguria in mare.
Ci ha puntato Bucci e poi il suo vice Pietro Picciocchi in questa impresa della funivia, investendo, chiedendo fondi, preparando il progetto, impegnando imprese, ma senza fare i conti con la popolazione sorvolata dalle cabine e devastata dai piloni, in uno dei quartieri più popolati e anche più sfortunati, quelli del Lagaccio, strade e case in un imbuto che sale dal porto alle alture in una valle stretta, rosicchiata dalla speculazione edilizia degli anni Sessanta-Settanta, senza servizi pubblici, solo trasporti a singhiozzo e caserme abbandonate.
La protesta dei cittadini
Gioco facile per la Silvia Salis dire no in campagna elettorale, cavalcando la protesta dei cittadini del Lagaccio. E poi incassare il loro consenso, durante la consultazione elettorale dello scorso giugno.
Ma ora i conti devono tornare e come per il caso dello Skymetro della Valbisagno ci sono capitali già spesi, impegni con il governo e con i fondi europei e giudizi già chiesti e già concessi al Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici e anche in parte ottenuti. Che si fa allora di quella funivia dei forti già mezza pagata? Con penali pesantissimi da pagare, se i lavori fossero cancellati? E con l’opposizione che urla al nuovo dispendio di soldi pubblici gettati al vento?
Ecco allora la battaglia sui forti, che sono lassù, sulla cresta della città, irraggiungibili, ma verso i quali il ponte è stato lanciato con il progetto di quelle campate, che si dovevano stagliare nel cielo di Genova, dal porto alle alture? Chi la vince e chi la perde?
La Salis questa volta non può gettare al vento i 90 milioni già spesi per la funivia, né rischiare di far pagare al Comune le penali previste se la costruzione non andrà avanti.
Ecco allora la proposta di realizzare una “mezza funivia”, cioè una soluzione tagliata del progetto iniziale che esclude la parte iniziale, quella che “il popolo non vuole perché punisce il proprio quartiere” e piazza la stazione di partenza più in alto, collegata con una delle mirabolanti cremagliere che Genova possiede, nella sua geografia dei trasporti saliscendi e che funzionerebbe da introduzione al percorso con le cabine.
Come nel caso dello Skymetro il nuovo corso prevede che si presenti un altro progetto, che deve essere ovviamente approvato da tanti enti preposti, ma che non disperderebbe i soldi già impegnati, perchè la funivia verrebbe comunque costruita. Insomma il passaggio molto faticoso e irto di difficoltà tra gli anni di Marco Bucci e del suo imprinting molto movimentista sulla città e quelli di questa bionda signora, che governa con piglio persistente e una maggioranza larga e finora molto unita, è una specie di avanti e indietro tra quello che si immaginava “prima” e quello che si fa “oggi”.
Così Genova è in mezzo più generalmente a un guado complicato tra due modelli di città completamente opposti: quello di imporre comunque la sua visione di opere impostate e in parte già finanziate con esborsi pubblici e privati consistenti, esercitando una pressione politica da minoranza quindi molto “disarmata” e l’altro di impostare un’altra città più sociale, di democrazia più diffusa, di partecipazione popolare più estesa, di Municipi coinvolti un anno prima del centenario della Grande Genova, fatta da Mussolini nel 1926, ma anche di trovarsi bloccata dagli “ingombri” delle decisioni prese prima, appunto quelle opere lanciate e rimaste appese a una impostazione precedente.
Questa in realtà è un po’ la storia complessiva di Genova negli ultimi decenni, nei quali, però, anche maggioranze politiche diverse hanno lavorato a obiettivi che sono diventati comuni. Basta pensare all’operazione colombiana del 1992 con tutta la trasformazione del porto antico, firmata da Renzo Piano e le altre opere connesse, impostate dai “rossi” di Cerofolini, il sindaco socialista alleato dei comunisti e poi perfezionate dalla giunta di centro sinistra con dentro perfino il Pli del repubblicano Cesare Campart e poi dalla giunta di Romano Merlo, socialdemocratico. Dentro alla quale c’erano anche i comunisti del sindaco successivo, Claudio Burlando.
Non c’è mai stata neppure nei tempi più antichi una grande opera che non sia mai stata condivisa da visioni politiche anche opposte, come ai tempi del sindaco democristiano Vittorio Pertusio e da quello Pci, Gelasio Adamoli.
Oggi invece chi governa cioè la Salis e chi si oppone, Pietro Picciocchi, si lanciano frecce avvelenate anche sulle mura dei Forti che erano stati costruiti per difendere Genova, non per scatenare qualche secolo dopo guerre interne.
L'articolo Salis e Piciocchi alla guerra dei forti di Genova, una scalata che può costare ai genovesi 90 milioni proviene da Blitz quotidiano.