Sale chiuse, appelli e un libro che ribalta la vulgata sui mali del cinema
- Postato il 8 febbraio 2025
- Di Il Foglio
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Sale chiuse, appelli e un libro che ribalta la vulgata sui mali del cinema
La disfida delle sale, a Roma, è in pieno svolgimento: nove cinema in disuso comprati da un fondo olandese, trenta schermi spenti, registi, attori, produttori mobilitati per chiedere alla regione Lazio di non permettere la riconversione in supermercati o sale bingo, Carlo Verdone e Ferzan Özpetek impegnati in prima persona, il governatore della regione Lazio Francesco Rocca che rassicura sulle possibili speculazioni. Ma questa è soltanto la superficie visibile di un problema che viene da lontano, e che ha prima di tutto a che fare con il rapporto collettivo, da un lato, e individuale e intimo, dall’altro, tra un film e il suo spettatore, solo che il film non si muove da solo e lo spettatore neppure: sono entrambi parte di un sistema e si specchiano a intermittenza l’uno nell’altro, trasformando man mano, senza averlo progettato, immagine e percezione, tanto più quando terzi attori si muovono sul campo – prima la televisione, poi la rete. E’ il punto di partenza del viaggio che Beppe Attene, ex dirigente di Cinecittà S.P.A, ex direttore generale dell’Istituto Luce, produttore e distributore, compie senza schemi preconcetti nel libro “Lei non sa chi ero io, il cinema italiano e l’individualizzazione del consumo” (ed.Graphofeel), nel racconto di un paese, di una società, di un’arte, di un settore economico, di un campo conteso, in direzione di un salto nella realtà: non ci si può permettere di rifiutare i nuovi linguaggi in nome di un cinema divinità astratta e riserva indiana. Ma, per farlo, bisogna prima risolvere l’ambiguità. Il libro pone, intanto, alcune domande-chiave con approccio non scontato, indicando le possibili soluzioni: come il cinema, attraverso l’evoluzione del tipo di fruizione, da “consumo socializzato e socializzante” si è fatto “individualizzato”? Quando e perché il sistema-cinema ha pensato di prendere una scorciatoia lungo la strada della competizione con la tv, finendo per chiedere aiuto a una politica che a sua volta vedeva nel salvataggio del cinema il modo per rilanciare se stessa? E perché la sinistra per anni si è arroccata sul cinema in un atteggiamento protezionistico-identitario, finendo per danneggiare le potenzialità del sistema, errore in cui rischia di cadere oggi in modo uguale e contrario la destra al governo?