Salario minimo, per i consulenti del lavoro è inutile. Ma l’assist alla maggioranza non regge: ecco i numeri
- Postato il 15 maggio 2025
- Lavoro
- Di Il Fatto Quotidiano
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La maggioranza sta per affossare definitivamente il salario minimo. Fratelli d’Italia teme lo smarcamento della Lega, pronta a presentare una sua proposta ad hoc sugli stipendi con la previsione dell’adeguamento all’inflazione, e per non farsi rubare la scena ha tirato fuori dal cassetto il ddl delega al governo sui salari equi che giaceva da mesi in commissione Lavoro e Affari sociali al Senato. È il testo nato come ddl delle opposizioni sul salario minimo e snaturato trasformandolo appunto in delega e cancellando la previsione di una paga oraria di almeno 9 euro lordi all’ora: l’obiettivo ora è mandarlo in Aula entro fine mese. Martedì la commissione guidata da Francesco Zaffini (FdI) ha audìto in tutta fretta una decina di enti, da Cna a Confcommercio e Federterziario, perlopiù notoriamente contrari alla fissazione di un minimo legale. In prima linea, nel tentare di fornire ulteriori assist al governo, i consulenti del lavoro. Ma a una lettura attenta la loro analisi non regge.
Un passo indietro. La proposta della maggioranza delega il governo ad adottare misure per rafforzare l’efficacia dei contratti collettivi e promuoverne il rinnovo. Il primo step prevede che si individuino quelli “maggiormente applicati” in ogni settore – previsione pericolosa perché non si tratta necessariamente di quelli sottoscritti dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative – e si estenda a tutti i lavoratori di quella categoria il loro trattamento economico complessivo minimo. Il presupposto è che i ccnl più applicati (anche se firmati da sigle poco note o “pirata”) garantiscano automaticamente il rispetto dell’articolo 36 della Costituzione sul diritto del lavoratore a una retribuzione proporzionata e sufficiente per un’esistenza libera e dignitosa.
Il consiglio nazionale dell’ordine dei consulenti del lavoro, presieduto per 18 anni dalla ministra Marina Elvira Calderone e alla cui guida c’è ora il marito Rosario De Luca, ha dunque consegnato ai senatori un approfondimento che punta proprio a rafforzare quella tesi. La conclusione a cui arriva è che “anche in assenza di un salario minimo legale”, oggi adottato in 22 Paesi Ue su 27, “il livello retributivo complessivo previsto dai Contratti collettivi nazionali di lavoro è già in linea o addirittura superiore alla retribuzione minima imposta per legge in altri Stati”. Per esempio? Il principale CCNL per i dipendenti di terziario, distribuzione e servizi stando ai calcoli dei consulenti, prevede un minimo mensile lordo di 1.721 euro che vengono confrontati con i minimi in vigore in Germania, Francia, Spagna e Romania (sic). La tabella mostra però chiaramente come sia in Germania sia in Francia il minimo legale sia più alto (2.161 e 1.802 euro). E lo stesso vale per quanto riguarda il CCNL per i dipendenti di pubblici esercizi e turismo (1.667,21 euro di minimo) e quello per i dipendenti delle imprese artigiane metalmeccaniche (1.717,35 euro). Ma Spagna (1.381 euro) e Romania (814) sono superate ed evidentemente tanto basta.
Ma è altrove che l’analisi fa acqua con maggiore evidenza. Cioè dove punta a smentire che sia utile fissare – come prevedevano le proposte delle opposizioni – una soglia minima inderogabile sotto la quale nemmeno la contrattazione possa scendere, preservando e valorizzando per il resto l’autonomia negoziale. Per farlo, oltre all'”indagine empirica comparata” con i Paesi-campione visti prima, il documento evidenza in una tabella le componenti della retribuzione minima prevista da sei contratti “tra quelli più applicati nel panorama italiano” per far emergere come il salario minimo orario sia sempre superiore ai 9 euro lordi. L’esercizio però ha molte debolezze.
Per prima cosa, i sei contratti selezionati, per quanto diffusi, coprono stando all’archivio del Cnel 6,4 milioni di dipendenti su un totale di oltre 18 milioni: una minoranza, ovviamente non rappresentativa. Tre ccnl su sei sono della metalmeccanica, settore molto sindacalizzato e dalla contrattazione storicamente “ricca” al confronto con il terziario. Quest’ultimo comparto compare nel campione con due contratti che vedono come firmatari rispettivamente Confcommercio e Legacoop e i confederali, entrambi rinnovati nel 2024. Infine, viene preso in considerazione il contratto della logistica di Assologistica, il migliore del settore.
Almeno in questi casi i minimi sono davvero sopra i 9 euro lordi? In realtà per fare tornare i conti i consulenti considerano nel calcolo anche i ratei di tredicesima ed eventuale quattordicesima e addirittura il Tfr, elementi del trattamento economico complessivo che però erano stati esclusi dalla soglia prevista nella proposta di legge di Pd, M5s, Avs e Azione. Così facendo è facile restituire l’impressione che un salario minimo in Italia non servirebbe a nulla. Ma se si vanno a guardare i “veri” minimi la situazione è ben diversa: trasformando la retribuzione tabellare minima riportata nella tabella nella corrispondente retribuzione oraria, si scopre che il CCNL del terziario, distribuzione e servizi applicato a 2,49 milioni di lavoratori ha un minimo poco superiore a 7,9 euro all’ora, quello dei pubblici esercizi e turismo che copre oltre 700mila lavoratori prevede un minimo di 7,69 euro. Solo il contratto principale dei metalmeccanici e quello delle pmi metalmeccaniche sono sopra la soglia dei 9 euro. La logistica, con 8,46 euro, non ci arriva.
Nonostante l’attenta scelta di ccnl relativamente generosi rispetto ai tanti contratti pirata disponibili per le aziende attive in quegli ambiti, lo sforzo di dimostrare che la contrattazione collettiva è “unica sede idonea a garantire l’equilibrio tra giustizia sociale, sostenibilità economica e valorizzazione professionale nei diversi contesti produttivi” mostra le corde.
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