Salario minimo, la Corte di Giustizia Ue conferma la direttiva europea e respinge il ricorso della Danimarca
- Postato il 11 novembre 2025
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- Di Il Fatto Quotidiano
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La Corte di Giustizia dell’Unione Europea (Cgue) ha respinto in gran parte il ricorso presentato dalla Danimarca e sostenuto dalla Svezia, volto ad annullare integralmente la direttiva Ue 2022/2041 sui salari minimi. La sentenza conferma la validità del quadro normativo, compreso l’obbligo di promuovere la contrattazione collettiva. Per i paesi che, come la Danimarca, definiscono i salari minimi esclusivamente tramite contratti collettivi, la sentenza conferma che la direttiva “non impone, e non dovrebbe essere interpretata come se imponesse, agli Stati membri nei quali la formazione dei salari sia fornita esclusivamente mediante contratti collettivi, l’obbligo di introdurre un salario minimo legale né di dichiarare i contratti collettivi universalmente applicabili”. Tuttavia, la decisione annulla due specifiche disposizioni della direttiva, rivolte agli Stati membri in cui sono previsti salari minimi legali e riguardanti la determinazione o l’aggiornamento di tali salari, che sono state ritenute troppo invasive nelle competenze nazionali.
Il ricorso mirava a far dichiarare illegittima tutta la direttiva che, secondo Copenaghen, rappresenta una “ingerenza diretta del diritto dell’Unione nella determinazione delle retribuzioni all’interno degli Stati membri”, in violazione dell’articolo 153 paragrafo 5 del Trattato sul funzionamento dell’Unione (Tfue), che esclude espressamente la competenza Ue in materia di retribuzioni e diritto di associazione. La Corte ha invece stabilito che tale norma si applica solo alle misure che comportano una “diretta ingerenza del diritto dell’Unione nella determinazione delle retribuzioni”. Mentre le disposizioni della direttiva, che hanno lo scopo di “migliorare le condizioni di vita e di lavoro nell’Unione, in particolare l’adeguatezza dei salari minimi per i lavoratori”, sono state per la maggior parte ritenute compatibili con la ripartizione delle competenze prevista dal Tfue. In particolare, la Corte ha respinto il motivo di ricorso sull’articolo 4 della direttiva, che promuove la contrattazione collettiva sulla determinazione dei salari. La Corte ha escluso che l’obbligo per gli Stati membri con bassa copertura contrattuale (inferiore all’80%) di elaborare un “piano d’azione per promuovere la contrattazione collettiva” costituisca un’ingerenza diretta nel “diritto di associazione” o nelle retribuzioni.
I giudici del Lussemburgo hanno tuttavia accolto il ricorso della Danimarca su due punti che riguardano specificamente la procedura per la determinazione dei salari minimi legali adeguati. Sono state annullate due parti dell’articolo 5: quella che elencava quattro elementi (tra cui potere d’acquisto, costo della vita, livello dei salari e produttività) che i criteri nazionali di determinazione dei salari minimi legali dovevano “almeno comprendere”. Imposizione non consentita, secondo la Corte, perché comporta “un’armonizzazione di una parte degli elementi costitutivi di detti salari e, pertanto, un’ingerenza diretta del diritto dell’Unione nella determinazione delle retribuzioni”. Allo stesso modo è stata annullata la cosiddetta “clausola di non regresso“, la disposizione della direttiva vietava la riduzione del salario minimo ai Paesi che utilizzano sistemi di adeguamento automatico dei salari minimi legali. Secondo i giudici, la clausola costituiva un’ingerenza diretta del diritto dell’Unione nella determinazione delle retribuzioni, materia che deve rimanere esclusa dalla competenza legislativa Ue. Resta dunque valido l’impianto generale della direttiva, che fissa un quadro per l’adeguatezza dei salari minimi e la promozione della contrattazione collettiva, mentre si contraggono le competenze Ue relative alla fissazione dettagliata dei criteri salariali e alla loro eventuale riduzione, che rimangono prerogativa esclusiva degli Stati membri.
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